Il progetto di restauro dell’Orto sul Colle dell’Infinito

Il progetto di restauro dell’Orto sul Colle dell’Infinito

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Il progetto di restauro dell’Orto sul Colle dell’Infinito
Cantieri

01 ottobre 2019

Gli interventi di restauro e rifunzionalizzazione del FAI restituiscono al pubblico, in occasione del Bicentenario de “L’Infinito”, gli spazi del Centro Nazionale di Studi Leopardiani e l’orto-giardino in cima al famoso “ermo colle”

Il progetto di restauro del Centro Nazionale di Studi Leopardiani

Nell’aprile 1937, in occasione delle celebrazioni per il primo centenario della morte di Giacomo Leopardi, fu costituito il Centro Nazionale di Studi Leopardiani, con lo scopo di promuovere e favorire gli studi e le ricerche intorno alla vita e alle opere di Giacomo Leopardi, e si cominciò a pensare alla costruzione di una sede adeguata al ruolo e al prestigio dell’ente. Il progetto fu affidato all’ingegnere e architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat, professore incaricato di importanti cattedre all’Università di Genova e Roma. La scelta di questa figura - tra le più rilevanti dell’epoca nell’ambito degli studi sull’architettura e sul restauro - testimonia l’importanza e il prestigio ricoperti dalla nuova istituzione. Il disegno per il Centro elaborato da De Angeli Dossat è un tipico esempio di architettura civile del Ventennio, monumentale e celebrativa, chiaramente ispirata ai canoni stilistici piacentiniani tanto apprezzati dal regime fascista, e connota fortemente i luoghi che oggi il FAI con il suo intervento ha aperto al pubblico, e non più solo agli studiosi. La sua felice collocazione – accanto alla casa natale del poeta e al culmine del percorso che risale le pendici del Monte Tabor – e l’attento restauro affrontato dal FAI hanno permesso di riassegnare all’edificio una immediata capacità di comunicare al visitatore il proprio ruolo e la propria importanza storica.

La sede del Centro Nazionale di Studi Leopardiani (CNSL) è un edificio costituito da un unico corpo di fabbrica sviluppato su tre piani, per un totale di circa 1000 mq. I prospetti esterni rivolti verso via Monte Tabor si articolano su tre livelli. Gli elementi decorativi, ispirati alla cultura classica, si presentano in forma semplificata secondo quella tendenza alla “elementarizzazione dell’antico” tipica del periodo. L’accesso avviene attraverso una solenne scalinata semicircolare posta sull’angolo del fabbricato, ideale conclusione del viale alberato che risale le pendici del Colle in direzione nord-est e immette nel vasto atrio d’ingresso, fulcro dell’intero edificio, dominato dal monumentale scalone a doppia rampa in pietra di Cagli. Una massiccia balaustra in pietra si sviluppa lungo l’intero perimetro della scala, proseguendo sul ballatoio in un fluire continuo e dinamico. Tutto l’ambiente appare austero e solenne: le superfici sono lisce e prive di decorazioni; la luce penetra da una grande apertura semicircolare in ferro e vetro posta in corrispondenza del pianerottolo. L’atrio rappresenta lo spazio centrale attorno al quale si distribuiscono simmetricamente tutti gli ambienti, e il punto di arrivo di quel lungo percorso che dall’esedra iniziale ai piedi del colle prosegue lungo il viale alberato, incontra l’edificio, supera tutte le rampe interne ed esterne sino a raggiungere, attraverso lo scalone, il piano nobile; un percorso ascensionale che traduce, fisicamente, l’elevarsi dell’animo sulle vette della poesia leopardiana.

L’intero edificio è stato sottoposto a una serie di interventi puntuali di conservazione e manutenzione straordinaria, sia degli elementi architettonici che degli arredi. Sono state effettuate tutte le operazioni necessarie per salvaguardare la materia originale che, dove eccessivamente degradata, è stata integrata in modo compatibile, ai fini di restituire al manufatto la funzionalità completa e corretta, pur consentendo la lettura dei segni del tempo, come elemento di valore e fascino.

Gli interventi di restauro hanno avuto come obbiettivo l’acquisizione della coerenza formale e costruttiva, con l’eliminazione di finiture recenti e l’integrazione delle finiture originali ancora presenti: pavimenti lucidati, pitture riproposte nelle tinte originarie, sostituzione degli infissi in legno con elementi analoghi agli originali ma in grado di soddisfare requisiti prestazionali attenti alla sostenibilità energetica, impiantistica adeguata agli obblighi imposti dalla legge per i locali museali.

Per poter aprire al pubblico l’edificio sono state affrontate opere di rifunzionalizzazione: al piano terreno lo spazio per l’accoglienza dei visitatori, un grande ambiente con funzione di biglietteria e libreria, è stato ricavato dall’unione dei due uffici preesistenti e arredato con mobili realizzati appositamente su disegno, coerente con le forme e i materiali degli arredi presenti; da questo nuovo locale si entra nella biblioteca, che mantiene le sue caratteristiche di luogo di studio e di ricerca ma, al tempo stesso si arricchisce di una nuova funzione: al centro della prima campata è stato realizzato un tavolo multimediale che permetterà a tutto il pubblico di consultare il materiale di approfondimento e i documenti conservati dal CNSL fin dalla sua fondazione. Le altre due campate dell’ampio locale, separate da nuovi moduli di libreria mantengono la configurazione originale con gli stessi scaffali in legno, i tavoli di consultazione, gli schedari metallici, di cui si sono trovati negli archivi i disegni originali.

Al piano seminterrato si svolge il racconto di approfondimento sulla lirica leopardiana predisposto dal FAI. I vasti ambienti sono stati trasformati in un grande spazio “immersivo”, che sostituisce e integra con nuove forme di comunicazione più moderne ed efficaci i contenuti della precedente esposizione. Rimosso l’ascensore esterno realizzato in ferro e vetro negli anni Novanta, che alterava in modo invadente la percezione dello spazio, il vicolo che porta all’orto ha recuperato fascino e coerenza.

Attraverso lo scenografico scalone si raggiuge al piano superiore la grande sala conferenze destinata, fin dalla fondazione del Centro, a convegni, lezioni, seminari e alla celebrazione di tutte le ricorrenze leopardiane. Una porta a battente sulla parete di fondo introduce a locali di deposito in cui una scala a chiocciola in cemento conduce alla copertura. Questi spazi, in pessimo stato di conservazione a causa di gravi infiltrazioni, sono stati risanati in modo da assicurare la perfetta efficienza della copertura piana, garanzia della buona conservazione di tutto l’edificio. L’aggiunta di una ringhiera perimetrale su tutta la copertura, arretrata in modo da non avere nessun impatto sui prospetti, e un più agevole ingresso permetteranno in occasioni particolari di avere accesso alla terrazza, da cui si gode di una magnifica vista a 360 gradi sul borgo di Recanati e sullo splendido paesaggio collinare marchigiano.

Tutti gli altri ambienti del primo piano - ufficio del direttore, sala riunioni, ufficio contabile – mantengono la configurazione storica con le finiture e gli arredi originali, e permetteranno al Centro Studi di continuare a svolgere le sue funzioni in ambienti che hanno recuperato tutto il decoro originale.

Gli arredi esistenti, comprese le porte, originali e realizzati dalla ditta Maggini di Ancona, sono stati restaurati dagli eredi dei fornitori storici ancora in attività, e sono stati ricollocati nelle posizioni in cui erano stati originariamente previsti.

I corpi illuminanti appartengono all’epoca della costruzione: sono stati disegnati e realizzati dalla famosa ditta Venini negli anni Trenta, quando la direzione artistica era affidata al noto architetto Carlo Scarpa. Anche questi sono stati recuperati, integrati nelle parti mancanti e ricollocati con l'inserimento di lampadine led con forma classica a goccia e temperatura di colore bianco caldo. Un impianto speciale garantisce l'illuminazione di emergenza nei lampadari storici, permettendo di evitare l’inserimento di corpi luce non coerenti agli spazi. A integrazione della luce decorativa in alcuni ambienti sono stati inseriti profili led per un’illuminazione indiretta delicata e diffusa, che ne evidenziasse la spazialità, o faretti di piccole dimensioni per luci d’accento.

Una parte consistente dei lavori ha riguardato le opere impiantistiche, integralmente sostituite perché obsolete e non più in grado di ottemperare alle normative vigenti. Sono state installate tre pompe di calore a espansione diretta, con un sistema tecnologicamente avanzato, flessibile e di facile utilizzo che permette di ottimizzare l’efficienza energetica, riducendo i consumi invernali ed estivi. Tutte le unità interne sono state adeguatamente mascherate con pannelli per non risultare invasive rispetto alla linearità ed eleganza dell’architettura. Anche i sistemi di allarme e di sicurezza sono progettati per inserirsi armoniosamente nel contesto.

Il recupero dell’Orto

L’Orto è contenuto tra i due corpi di fabbrica del Monastero di Santo Stefano e le mura da cui fu cinto il borgo, nella metà del 1400, dagli Sforza. La superficie risulta tripartita da una struttura di vialetti e pergolati a forma di Y che risale, con ogni probabilità, agli interventi di riqualificazione del 1937, a loro volta impostati su tracciati più antichi. Lo spazio è relativamente ampio (circa 4.000 mq) ma chiuso, poiché l’altezza dei muri perimetrali non consente un’immediata visuale verso l’esterno. Il paesaggio lontano mantiene, anche grazie alla mitigazione offerta dalla distanza consente tutt’oggi un’esperienza panoramica e scenografica unica. Intorno al giardino, sotto le mura, si estende il Parco pubblico del Colle dell’Infinito.

Il delicato progetto di recupero è stato affidato all’architetto paesaggista Paolo Pejrone, noto in tutto il mondo per i suoi straordinari giardini e fondatore dell’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio, ed è stato sviluppato e realizzato in collaborazione con il Comune di Recanati. L’obiettivo principale è stato quello di conservare le caratteristiche generali dell’area, riqualificando con interventi mirati alcuni elementi, in modo da restituire allo spazio quel senso di semplicità che gli è connaturato e agevolare nel contempo la fruizione a un pubblico vasto. La qualità e il fascino di questo orto-giardino risiede nel suo carattere ordinario di spazio agreste e nel contrasto tra la sua dimensione umana e il vertiginoso senso di infinito, spaziale e temporale, che scaturisce dalla esperienza poetica leopardiana. Le piccole architetture, i pergolati, le variazioni di quota, i gruppi arbustivi compatti, determinano una continua frammentazione delle visuali interne, cosicché non è mai possibile apprezzare l’orto-giardino nel suo insieme, ma solo attraversarlo indugiando nei suoi scorci di semplicità campestre. Nel progetto di riqualificazione questi elementi sono stati considerati di qualità e sono stati conservati, così come la caratterizzazione mista che è stata mantenuta: zone a orto e a frutteto si alternano a radure erbose con macchie arbustive e fiorifere. Sui pergolati in ferro, rifatti mantenendo la loro originaria linearità, si sviluppa la vite, e al loro fianco si estendono le parcelle a orto, di semplice e spontanea struttura, ancora oggi coltivate secondo l’uso comune con ortaggi e fiori da recidere che crescono insieme. Poche lampade dalla luce fioca manterranno un’atmosfera raccolta anche nelle ore serali.

Per garantire all’orto la sua rustica armonia sono stati ridisegnati dove necessario i vialetti in terra battuta perimetrati da cordoli in mattoni, compreso quello all’ingresso dal vicolo dove è stato demolito un volume edilizio di modesta qualità architettonica e pessimo stato di conservazione, estraneo al complesso monumentale, realizzato negli anni Novanta per contenere i servizi igienici.

Le murature sforzesche, che delimitano l’orto-giardino lungo i lati sud e ovest, sono state liberate dalla vegetazione infestante e consolidate con la tecnica del “cuci-scuci”, integrando le porzioni mancanti con materiali il più simile possibile a quelli già in opera, che ne garantiranno anche una buona conservazione nel tempo. Sull’angolo nord-ovest del complesso, a ridosso delle mura, si trovavano due piccole architetture, un rustico e una cappella, in rovina. Il rustico anticamente faceva parte di un insieme di strutture destinate al ricovero degli animali, la cappella - forse uno dei sette piccoli oratori affrescati menzionati nei documenti storici - semplice costruzione a pianta quadrata e soffitto a volta, erano un tempo collegati da un portico coperto di cui sono state rilevate le tracce nella muratura quattrocentesca, che è stato ricostruito formando un complesso unitario, un’architettura rurale semplice, con pilastri in mattoni antichi, travi e travetti in legno di castagno lavorati a mano, manto in coppi di recupero, pavimentazione in cotto. La cappella con le sue recuperate decorazioni e semplici arredi liturgici, è diventata lo sfondo conclusivo di un lungo pergolato. Il rustico, adibito a biglietteria e negozio FAI, diventa un secondo ingresso al giardino, indipendente dall’edificio del Centro.

Nello spazio antistante al portico la vecchia riserva idrica antincendio è stata riconvertita in vasca di raccolta dell’acqua piovana proveniente dalle coperture, garantendo così la necessaria irrigazione a tutto il giardino. Sopra di essa è stata collocata una fontana-pozzo in mattoni, nuovo fulcro di questo angolo, caratterizzato da volumi contenuti e dalla colorazione giallo-ocra del cotto locale.

Il fronte ovest dell’ex Monastero di Santo Stefano costituisce un’importante quinta architettonica per il giardino: l’abbattimento di alcuni soggetti arborei pericolanti ha comportato una maggior visibilità della facciata, su cui in collaborazione con il Comune si è intervenuti con operazioni di riordino e di razionalizzazione delle tubazioni impiantistiche e dei cavi elettrici e telefonici. Il restauro delle persiane lignee, la sostituzione di diversi serramenti ammalorati, il recupero dei voltini in legno delle finestre e il consolidamento della gronda sommitale in mattoni, instabili e pericolosi, hanno permesso di ridare dignità all’edificio.

Grazie a

Il progetto di restauro, valorizzazione culturale e gestione di parte degli spazi del Centro Nazionale di Studi Leopardiani e dell’Orto è realizzato grazie a:

Associazione Amici del FAI, Tod’s S.P.A. e Gruppo Gabrielli.

Si ringrazia Regione Marche per l’impegno a sostenere il progetto.

Progetto di illuminazione a cura di Marchesi Lisa Lighting Design – mldlab. Si ringrazia iGuzzini per il supporto tecnico.

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