Il Memoriale Brion, monumento all’amore – di Fulvio Irace

Il Memoriale Brion, monumento all’amore – di Fulvio Irace

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Il Memoriale Brion, monumento all’amore – di Fulvio Irace
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22 agosto 2022

Il complesso funebre nel cimitero di San Vito di Altivole, realizzato tra 1970 e 1978 da Carlo Scarpa e recentemente donato al FAI, è stato concepito come luogo di riposo e ricongiungimento per i defunti. E giardino accogliente per chi viene ad alimentarne il ricordo.

Mentre si aggirava nel cantiere del Memoriale Brion, nel cimitero di San Vito di Altivole, all’inevitabile domanda se credesse nella vita dopo la morte, Carlo Scarpa rispose: «Sì. Uno dei soliti misteri di chi ha perduto la fede e poi non sa più come regolarsi!». Forse è per questo che - quasi mezzo secolo dopo il suo completamento - tale straordinario “campo dei miracoli” dell’architettura risulta ancora un enigma: non tenebroso, però, come sembrerebbe alludere la scelta di Denis Villeneuve di girarvi alcune scene del sequel di Dune, ma gioioso piuttosto e, proprio per questo, più inafferrabile e misterioso. In ogni palmo di tutta la sua estensione, la regìa dell’architetto veneto seppe profondere infatti la sapienza di un messaggio di pietre, di cemento, di acqua e di verde, ispirato alla forza dell’amore coniugale: alla sua resilienza alla morte e alla perpetuazione nella vita. Un messaggio tuttavia che non ricorre a simboli esoterici - per quanti sforzi siano stati profusi nella decifrazione dei complessi e molteplici rimandi storici di alcuni singoli episodi - ma alla sua leggendaria memoria che gli consentiva di ritenerne l’essenza ruminandone la scorza. E dunque di evitare la trappola della citazione diretta in modo che l’evocazione del passato sgorgasse diretta e senza intellettualismi giungendo a tutti con la sua potenza visiva. Non a caso ne rimase ossessionato Guido Guidi che, per dieci anni, scattò foto in ogni stagione e momento della giornata captandone la forza della luce e la sonorità dell’ombra dentro le pieghe delle modanature di cemento e sulla rugosità delle superfici, alla stessa maniera in cui Claude Monet, un secolo prima, aveva cercato di restituire l’istantaneità dei corpi luminosi sulla facciata della cattedrale di Rouen. Realizzato tra 1970 e il 1978 (anno della morte dell’architetto in Giappone), il complesso funerario era stato commissionato da Onorina Tomasin per celebrare la memoria del defunto marito Giuseppe Brion, fondatore della Brionvega, azienda che - con il suo innovativo design - stava rivoluzionando l’estetica dell’elettronica di consumo.

Quella dei Brion era la prova della vitalità della provincia italiana a contatto con la capitale industriale dell’Italia del boom. Una storia di successo che non chiudeva le porte alla tradizione, ma ne rilanciava il potenziale volgendolo verso il futuro, come dimostra - adesso - la generosa donazione del complesso al FAI, e dunque al patrimonio dell’heritage moderno italiano. Tra la città industriale e la campagna veneta il filo rimase ininterrotto. E quando la morte colpì improvvisa, Onorina volle che la memoria della famiglia (dove sentimento ed estetica coincidevano con la felicità del fare) fosse perpetuata nella maniera più appropriata. All’inizio, però, non immaginava che la cappella di famiglia potesse diventare una sorta di Tàj Mahal della Marca Trevigiana, e che il previsto lotto di 68 mq si dilatasse ai circa 2mila dell’attuale complesso. Ma l’intesa con Scarpa fu contagiosa e incoraggiata dall’entusiasmo del figlio, il giovane Ennio Brion, la cui ammirazione per l’architetto s’era infiammata dalla visita al Negozio Olivetti in piazza San Marco a Venezia, anch’esso oggi gioiello prezioso gestito dal FAI. D’altro canto, molto efficaci per comprendere la preziosa alchimia tra architetto e committente sono i suoi ricordi dei viaggi in macchina compiuti con Scarpa: «Si addormentava un momento, poi si svegliava e disegnava qualcosa dietro una scatola di fiammiferi. Diceva che certe idee gli venivano in sogno». Custodite in circa 3mila disegni, queste idee sono percepibili oggi a chiunque si inoltri nel complesso Brion, che a tutto assomiglia tranne che a un cimitero. Schizzo dopo schizzo, appunto dopo appunto, la febbre del sogno anima la matita di Scarpa e il tema della tomba trascolora in quello del paesaggio. L’ambizione dell’architetto, sorretto dalla pietas dei committenti, prende corpo nell’impresa titanica - seppur gentile - di costruire un giardino per i vivi. Un giardino delle memorie che riaffiorano dal suolo nei vari episodi della saga familiare, assunta però come racconto popolare. La conciliazione della memoria è il viatico per un buon riposo nell’Aldilà e la garanzia di una felice permanenza di chi alimenta il ricordo per proseguire la vita.

Un giardino dell’Eden, sviluppato a ridosso del cimitero esistente e recintato da un muro inclinato con vista sulle colline: uno spazio interstiziale - fra le tombe e la campagna - pensato come un percorso che parte dall’ingresso comune e attraversa il punto focale di una costruzione che è la chiave d’ingresso (i propilei): il motivo delle fedi intrecciate imposta l’iconografia del ricongiungimento degli sposi, i cui sarcofagi si intravvedono di scorcio, disposti inclinati sotto l’ala protettiva di un ponte ad arco rivestito di tessere di vetro (l’arcosolio, ispirato alle sepolture degli antichi cristiani). Sulla superficie verde del giardino, si ritagliano ciascuno il suo spazio una serie di “oggetti” misteriosi: a destra, dei propilei, la cappella della meditazione, sospesa su uno specchio d’acqua cosparso di ninfee; a sinistra, dopo le tombe dei fondatori, il parallelepipedo inclinato delle tombe dei familiari; e, a conclusione, il volume ruotato della cappella funeraria. Leitmotiv dell’intero progetto è il calcestruzzo, il materiale più diffuso (e vituperato) del XX secolo, che Scarpa usa con la tecnica rinascimentale della “sprezzatura”: una sorta di pietra filosofale, precipitato nobile di una estenuante lavorazione che lo rende simile a una seta sontuosa con inserti rutilanti di mosaici e alabastri. Altro filo conduttore è l’acqua che sgorga e ristagna, stilla goccia a goccia e si raccoglie in piccole pozze. A ricordarci forse l’equilibrio instabile della magia delle cose quotidiane, che il Memoriale Brion, in fondo, rappresenta.

Fulvio Irace

Per gentile concessione dell’autore, questo articolo è apparso su “Il Sole 24 ore – Domenica” di domenica 21 agosto 2022 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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