16 settembre 2016
Nella sua puntuale relazione, Fiona Reynolds, già direttore generale del National Trust, in questi giorni in Italia per l'annuale riunione dell'Into, ha seguito il filo della collaborazione virtuosa fra istituzioni pubbliche e private in tutto il mondo: dalla salvaguardia delle strade storiche delle città americane (Main Street Projects) al recupero della storica nave Polly Woodside che è servita al rilancio anche economico del South Worf di Melbourne in Australia, al restauro del Merdeka Stadium di Kuala Lampur in Malesia, alla protezione degli edifici storici sopravissuti al terremoto del 2006 a Kotagede in Indonesia, alla protezione dall'eccesso di turismo della città murata Pingyao in Cina… Seguendo alla lettera le parole di Fiona Reynolds: «Questi esempi servono a ricordare che malgrado le difficoltà possiamo fare molte cose positive per conservazione dell'eredità culturale, non solo a beneficio della popolazione, e anche contribuire allo sviluppo dell'economia locale».
L'intervento di Andrea Carandini ha preso le mosse dal contributo di consigli e idee dato da Fiona Reynolds sulla base della sua esperienza al National Trust. Per Carandini ci sono due modelli di cultura dello stato e della società sottesi al tema della partnership pubblico-privato:«Nei paesi anglosassoni c'è un rapporto di simbiosi, potremmo dire di pari legittimità. Noi invece in Italia abbiamo ereditato il sistema francese, quello di una prevalenza dello Stato, quell' enorme Stato inventato dai romani, che ritroviamo poi in Luigi XIV e Napoleone… Lo statalismo italiano inoltre, ha trovato alimento e conferma nelle culture politiche del paese, dal liberalismo originario alla centralità della chiesa cattolica, dal fascismo al socialcomunismo. Cosicchè l'elemento pubblico ha finito per coincidere più con lo stato e la sua organizzazione e meno, molto meno, con la società e le sue istanze.In questo contesto storico e culturale, quando nasce più di 40 anni fa, dalla volontà di Renato Bazzoni e Giulia Maria Crespi e per impulso di Elena Croce, il FAI si presenta come un'anomalia. Poteva essere un fallimento! Invece: siamo figli del National Trust e sulla base di quell'esperienza, come ci è stata tramandata proprio da Fiona Reynolds, siamo cresciuti e continuiamo a crescere. Perciò la presenza di Fiona Reynolds e di Dario Franceschini allo stesso tavolo ha un significato che va al di là di questa occasione. Franceschini è il ministro che ha dato, con la sua riforma in atto, una applicazione del tutto inedita per l'Italia dell'articolo nove della Costitituzione che al suo primo comma prevede la promozione-valorizzazione della cultura del nostro paese insieme alla tutela del patrimonio contemplata nel comma successivo. E voglio ricordare che già due anni fa, concludendo i lavori del nostro convegno nazionale Franceschini si fece interprete della nostra missione concludendo così il suo intervento "Ogni successo del FAI è un successo del Paese... Italiani iscrivetevi al FAI". Non era mai accaduto che un ministro si ricnoscesse nel FAI. Ecco la ragione per cui considero questa giornata fondativa. E sollecito il ministro a farsi promotore di questi incontri anche nel suo Ministero. Perché ancora il quadro normativo, nonostante i progressi della sua riforma, è ancora debole proprio sul tema della collaborazione fra pubblico e privato. Non sottovaluto il fatto che nella Costituzione ci sia anche l'articolo 118 sulla sussidiarietà. Manca però ancora una legge che renda praticabile questa osmosi».
«Ascoltando Fiona Reynolds mi sono accorto di quanto ritardo abbiamo accumulato…»: anche Franceschini parte dalla esperienza anglosassone per mettere al centro la collaborazione fra pubblico e privato: «Siamo indietro sulla valorizzazione… La nuova riforma che pian piano, non senza difficoltà, comincia a penetrare nei gangli del sistema antico, ben presto consentirà un nuovo equilibrio. Prendiamo l'esempio dei musei. Non esistevano, di fatto. Senza bilancio, senza statuto, senza budget… Non avevano nemmeno un conto corrente. Ora i musei esistono e si preparano a modificare il quadro complessivo della valorizzazione dei beni culturali in Italia. Ci saranno dieci nuovi musei autonomi, soprattutto nell'ambito dell'archeologia, dall'Appia antica al Museo nazionale romano. Un fatto di rilievo mi sembra per esempio la separazione e la rispettiva autonomia di Ercolano e Pompei. E poi c'è l'Art Bonus, le nuove norme per le sponsorizzazioni. Ecco perché le giuste critiche vanno viste in questa nuova prospettiva. E se è vero che siamo in ritardo sulla valorizzazione, l'Italia dei Beni culturali non può dimenticare di essere stata all'avanguardia nella conservazione e tutela dei beni storico e artistici. Pensiamo solamente all'intero complesso di leggi del 1939… Non è un fatto da poco che in Italia il valore dei Beni culturali come proprietà di tutti sia superiore anche al valore della proprietà privata! Non mi sottraggo però ai problemi posti da Carandini. Sono d'accordo con lui. Non ce la può fare da solo il Pubblico a tutelare, proteggere, conservare e valorizzare l'intero patrimonio. Ma non ce la può fare nemmeno il Privato. Stiamo pensando concretamente perciò di usare uno strumento come quello delle Fondazioni senza fini di lucro per dare corso a questo connubio. Per esempio, pensiamo di censire e mettere a bando i siti negletti, spesso abbandonati e poco curati dalle istituzioni dello Stato, per affidarli alle Fondazioni senza fini di lucro, che hanno dimostrato di saperli valorizzare e quindi di saperli anche meglio tutelare. Come fa bene il FAI. Finalmente vedo che anche in Italia va maturando la consapevolezza che la salvaguardia del patrimonio culturale non solo fa bene all'anima ma anche all'economia».
La tavola rotonda di Fiona Reynolds con Carandini e Franceschini alla British School at Rome (leggi qui in inglese la cronaca della giornata), è stata preceduta da una intensa sessione di lavoro dedicata a tre case studies, guidata e coordinata dal professor Christopher Smith (direttore della British School) e da Paolo Conti (editorialista del Corriere della Sera). Del Parco di Villa Gregoriana a Tivoli ha parlato Daniela Bruno responsabile della Valorizzazione del Fai; il nuovo direttore della Pinacoteca di Brera James Bradburne ha messo a confronto il suo passato alla direzione di Palazzo Strozzi a Firenze con il futuro del suo nuovo incarico di direttore del secondo museo d'Italia dopo gli Uffizi, mentre Simon Keay che dirige l'équipe della università di Southampton e Renato Sebastiani del MiBACT si sono occupati delle prospettive di valorizzazione e insieme di conservazione di Portus, l'area del Porto Traiano a Fiumicino.
«A gennaio 2003 il Demanio dello Stato ha affidato Villa Gregoriana alle cure del FAI. Il parco era abbandonato da mezzo secolo e chiuso da cinque anni: degradato, pericoloso, impraticabile. Sul cancello qualcuno aveva attaccato un adesivo: Villa Gregoriana, chiusa per menefreghismo». Documentando le sue parole con immagini e numeri, progetti e mappe, Daniela Bruno ha raccontato la storia del recupero di Villa Gregoriana, dove prima la natura e poi l'uomo, seguendo il corso spettacolare del fiume Aniene, hanno dato vita a una spettacolare scenografia, tanto naturale quanto artificiale, che comprende due siti archeologici di grande importanza, il tempio di Tiburno e di Vesta e la villa del console Manlio Vopisco.Esposta alle piene del fiume la valle fu il luogo deputato dei viaggiatori del Gran Tour che venivano in Italia fra il Settecento e l'Ottocento. Sarà infatti una grande piena nel 1826 l'occasione per il Papa Gregorio XVI a realizzare una deviazione del fiume creando una cascata artificiale/naturale dall'altezza di 100 metri.
Questo il contesto storico e ambientale in cui interviene il FAI, nel 2003, come ha spiegato Daniela Bruno, Responsabile Valorizzazione Beni FAI: «Cinque milioni di euro, finanziati per oltre la metà da privati e la restante parte dal pubblico, sono serviti per bonificare il sito: sono state rimosse 350 tonnellate di rami e foglie che ostruivano l'alveo del fiume, 5 tonnellate di immondizia di ogni tipo e 1200 tonnellate di sassi e terra sparsi sulle pendici e sui sentieri; tutte le gradinate, i parapetti, le recinzioni e i canali per lo smaltimento delle acque sono stati restaurati o ricostruiti; la vegetazione infestante è stata eliminata dal sottobosco, dalle pareti rocciose, dalle valli e dalle grotte, e dalle costruzioni antiche e moderne, e sono state riordinate e ripristinate le 2100 essenze storiche e locali, tutte schedate e geolocalizzate… ». La Villa sarà aperta e il restauro inaugurato un anno dopo nel 2004: «Ma l'inaugurazione di un bene, come sperimentiamo ogni volta al FAI, è solo l'inizio. Il difficile viene dopo. E riguarda la manutenzione, la gestione e la valorizzazione. Il FAI ha avviato a Villa Gregoriana, per necessità forse ancor più che per virtuosa intenzione, un sistema di manutenzione preventiva ordinaria e programmata, l'unico sistema in grado di garantire la tenuta nel tempo dei costosi e impegnativi lavori di bonifica in un sito così complesso… La manutenzione ordinaria di Villa Gregoriana costa al FAI oltre 70 mila euro l'anno, escluso il personale ad essa dedicato (oltre 100 mila euro): 170 mila euro su un bilancio complessivo di 420 mila, ma è un bell'investimento, che frutta! Villa Gregoriana gode di ottima salute dal punto di vista finanziario, è economicamente sostenibile: non solo è in pareggio di bilancio, ma anzi è in attivo, con un piccolo avanzo di gestione che viene investito in manutenzione e restauri. E questo solo grazie ai biglietti, 60 mila persone che hanno scelto di visitarla nel 2015, con un incremento del 25,5% delle presenze e una crescita del 111% dei proventi, rispetto al triennio 2010-2012».
Continua Daniela Bruno: « Per questo il FAI un anno fa ha modificato radicalmente la sua struttura, costituendo un'Area Beni a tre teste: un architetto per restauro e conservazione, un manager per gestione economica e marketing, un'archeologa per la valorizzazione culturale. I tre guidano la gestione operativa dei beni del FAI, in accordo con la Direzione, esercitandosi ogni giorno nella composizione delle singole forze, ovvero delle loro singole competenze, necessità e volontà, cercando – con non poca fatica – di pervenire con elasticità ad una soluzione che tenga conto della complessità di un bene monumentale, che non potrebbe essere gestito da uno solo dei tre in quanto sistema pluristratificato di elementi interconnessi, un organismo complesso».
James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, parte dall'idea che il concetto di valorizzazione non è quantitativo ma solo qualitativo e non ha niente a che vedere con il denaro, almeno in prima istanza.Palazzo Strozzi, per James Bradburne, che ne è stato il direttore, è stato una specie di Beaubourg fiorentino: Firenze infatti sebbene ricca di musei e di opere d'arte, proprio per questo non presenta la duttilità necessaria per seguire gli sviluppi culturali più recenti con nuove mostre e allestimenti innovativi. Quale è stata, dunque, la mission di Palazzo Strozzi?1) Portare a Firenze eventi culturali di respiro internazionale (pensare globale) 2) Aprire il Palazzo a Firenze, ai suoi cittadini ma anche a coloro che la amano (agire locale)I dati confermano la buona riuscita dell'operazione: Palazzo Strozzi ha il maggior numero di citazioni da parte di testate internazionali "Tier 1" nel 2012 e registra così un miglioramento del +55% rispetto alla propria esposizione media nel triennio precedente. L'impatto sul territorio fiorentino nel 2014 è di circa 62 milioni di euro.Dietro questi risultati c'è una governance innovativa, con un Consiglio di Amministrazione indipendente e autonomo: tre membri sono di nomina pubblica, altri tre sono di nomina privata e il Presidente è nominato all'unanimità dei consiglieri. Il bilancio della Fondazione Palazzo Strozzi viene certificato da una società di revisione esterna. Il tutto è disponibile sul sito www.palazzostrozzi.org.Ma la vera innovazione sta nella partnership tra pubblico e privato. La Fondazione ha tre soci fondatori istituzionali: Comune, Provincia, Camera di Commercio di Firenze e una serie di fondatori non istituzionali: Associazione Partners Palazzo Strozzi (APPS), Banca CR Firenze, (Banca Federico del Vecchio, Banca Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Premio Galileo).Sostiene Bradburne: «Per fare cultura oggi, con qualità e ricadute positive sull'economia del territorio, sono necessari metodi e strumenti nuovi, che consentano di coinvolgere sia il pubblico sia il privato. La mancata collaborazione produce quella mutazione alchemica che in Italia trasforma l'oro privato in piombo pubblico».Dal passato al futuro, da Palazzo Strozzi alla Pinacoteca di Brera: ecco il progetto di Bradburne nelle sue linee essenziali. «Non dobbiamo pensare al Museo per i turisti, a noi spetta di creare cultura da offrire alla gente. Ecco la nuova misione di Brera in estrema sintesi:1) Rimettere Brera nel cuore della sua città2) Rimettere il fruitore al centro di Brera».Saranno così riallestite tutte le 38 sale in 3 anni e sarà la stessa Pinacoteca ad aprire un dialogo con il suo pubblico.Infine la grande scommessa: realizzare entro la prossima estate la Grande Brera aprendo Palazzo Citterio e le collezioni di arte moderna del museo.
L'area archeologica del Porto di Traiano, a 3 chilometri da Ostia, il più grande porto del Mediterraneo antico, per Renato Sebastiani del MiBACT e Simon Keay dell'Università di Southampton non è solo una sfida professionale per la tutela e la conservazione ma soprattutto una avventura culturale per la valorizzazione e la fruizione collettiva dell'unico bacino portuale romano giunto intatto fino al nostro tempo.
Il porto dopo duemila anni è interrato. Ma al centro, fulcro dell'intera aerea, c'è ancora il grande bacino esagonale realizzato da Traiano, intorno al 110 d.C., che poteva ospitare contemporaneamente circa 200 navi.
Infatti il porto, voluto da Claudio nel 42 d.C. e inaugurato da Nerone nel 64, oltre a essere poco protetto dalle tempeste e soggetto a un continuo insabbiamento, non riusciva più a sostenere i problemi logistici che poneva il grande sviluppo di Roma. Tanto è vero che il vecchio porto di Claudio continuerà a funzionare come una darsena, mentre con una serie di canali le merci seguendo la Fossa Traiana, l'attuale canale di Fiumicino, potevano risalire il Tevere fino al porto fluviale del Testaccio.Il grande sviluppo dell'area, con la costruzione di grandi magazzini (horrea in latino) cantieri navali, arsenali, un Palazzo imperiale e i corrispondenti uffici amministrativi, fa della conservazione e valorizzazione di Portus il luogo deputato a ricostruire un pezzo inedito della storia di Roma, per capire come funzionava il sistema di approvvigionamento e rifornimento di Roma antica. Una storia che ancora si può vivere e godere: l'area di Portus infatti, a ridosso dell'aeroporto di Fiumicino, comprende anche il Museo delle Navi (purtroppo temporaneamente chiuso da 14 anni) e presenta aspetti naturalistici, ambientali, paesaggistici, storici archeologici di valore assoluto.«Navigare il territorio» (www.navigareilterritorio.it) è il progetto in corso con il quale la Fondazione Benetton e il MiBACT con i coinvolgimento del comune di Fiumicino e degli Aeroporti di Roma, la società che gestisce il Leonardo da Vinci dove arrivano e transitano circa 5 milioni di passeggeri all'anno, si sono proposti di restituire Portus e la sua storia passata alla cultura del presente.