01 dicembre 2020
L’emergenza sanitaria che ancora viviamo ha colpito duramente molti settori dell’economia. Il mondo della cultura e del turismo sono in ginocchio. I luoghi della cultura sono nuovamente chiusi, le attività artistiche e culturali ferme o fortemente ridimensionate.
Significative sono state le risorse finora stanziate dal Governo a sostegno di tali settori, anche se prevalentemente come parziali “ristori”. Da quanto viene anticipato sulla manovra di bilancio in corso, sono contenute misure di sostegno alla cultura (in particolare attività culturali e spettacolo): è un impegno da apprezzare, pur nella consapevolezza che servano maggiori e più sistemici investimenti.
È tempo di andare oltre le proposte di tipo emergenziale. È tempo soprattutto di accantonare proposte demagogiche e “libri dei sogni”.
È innanzitutto necessario elaborare interventi strutturali che rafforzino, rilancino e innovino le istituzioni di tutela, i musei e i luoghi della cultura tra cui i tanto bistrattati archivi e biblioteche. Serve un piano consistente e sistematico di assunzioni (pari a non meno di 6.000 unità) nel MiBACT, che ha urgente bisogno di energie e competenze fresche e giovani nei ruoli scientifici, tecnici, amministrativi e dirigenziali ormai ai minimi termini.
Ma non basta. Servono idee e soluzioni nuove e coraggiose. Da questa crisi si può, infatti, uscire in modi diversi. Con formule del passato, pensando, ad esempio, che tutto possa e debba essere fatto solo dallo Stato, oppure aprendosi al futuro, includendo e coinvolgendo le forze vive della società, l’imprenditoria culturale, l’associazionismo.
È nei momenti di crisi che una classe dirigente dovrebbe dimostrare di saper ascoltare le proposte provenienti dalla società, valorizzare le competenze, liberare le energie, dare spazio ai giovani.
Si apra un vero laboratorio di progettazione condivisa, in cui il FAI potrebbe offrire un contributo prezioso, a partire dall’elaborazione di proposte concrete, fattibili, sostenibili. Chi scrive prova a riproporne qui un paio tra le tante.
La prima è una misura a sostegno della domanda: la detraibilità delle spese culturali. Noi tutti conserviamo gli scontrini delle farmacie e le fatture di medici e laboratori clinici. Se fosse possibile allegare alla nostra dichiarazione dei redditi anche i biglietti di ingresso o gli abbonamenti a musei, teatri, cinema, le spese per libri, abbonamenti a riviste, prodotti cartacei o audio-video, attività formative, laboratori, visite guidate, tessere di associazioni culturali, è facile immaginare quale incremento conoscerebbero i consumi culturali, senza dimenticare l’ulteriore vantaggio di fare emergere dal “nero” o dal “grigio” anche molte attività oggi sommerse. I mancati introiti fiscali per tali detrazioni sarebbero compensati dall’incremento dell’economia della cultura sostenuta dalla crescita della domanda.
I musei e i luoghi della cultura rientrano ormai tra i servizi pubblici essenziali. La Convenzione europea di Faro, appena ratificata dal Parlamento, sancisce il diritto di tutti al patrimonio culturale. Un diritto fondamentale, come quello all’istruzione o alla salute. La cultura è anche cura della persona: chi ha una vita culturale attiva ha generalmente migliori condizioni di salute.
Un’altra misura possibile potrebbe riguardare l’estensione dell’Art Bonus alle attività delle imprese culturali, tutte o almeno quelle afferenti al terzo settore. Si potrebbe, inoltre, istituire un “Fondo di solidarietà” con parte di tutti i proventi dell’Art Bonus a favore di progetti nelle aree più deboli e interne (come quelle ad esempio del progetto Alpe del FAI), dove la misura ha prodotto finora risultati modesti.
Sono due proposte che sollecitano la partecipazione dei cittadini anche come promotori e sostenitori, oltre che come consumatori di cultura.
Solo due punti di quello che potrebbe essere un “Cultural Recovery Plan” che, coerentemente con lo spirito del piano europeo (Next Generation EU), guardi alle generazioni future, alle quali non possiamo lasciare in eredità solo i nostri debiti.