22 aprile 2020
Lo scenario dalla fine della fase di emergenza pandemica per il Coronavirus, vedrà una assetto sociale prima, poi anche politico ed economico, profondamente mutato.
Ci troviamo di fronte a uno dei cambiamenti strutturali più profondi di un mondo che forse era andato oltre i propri limiti di sostenibilità da tutti i punti di vista, un mondo che si ritroverà a doversi rimodellare su paradigmi molto diversi da quelli sin qui vissuti.
Potrebbe non essere una rivoluzione totale o quantomeno non tutta la popolazione la vivrà con la stessa modalità: alcuni penseranno, una volta esaurita l’emergenza, di tornare al modo di vita antecedente, ma credo una buona parte riconoscerà che molte cose debbano essere cambiate.
Una volta conclusasi la fase di massima emergenza, è probabile che l’epidemia si attenui e si spalmi gradualmente sulla quotidianità di una società che è di fatto restia ai cambiamenti, lo si vede ad esempio per quello climatico - ormai emergenza “costante” e quotidiana, anche se non così immediata ed aggressiva come il Coronavirus - che genera danni e sconvolgimenti a grandi fette di popolazione (prendiamo l’acqua alta a Venezia solo ad esempio) senza che a livello mondiale si prendano scelte forti necessarie.
È probabilmente solo una questione di velocità, anzi in realtà le due o più emergenze che ne derivano sono spesso collegate e hanno forse una radice comune: la relazione dell’Uomo con il Pianeta.
Ormai da più parti nel mondo scientifico, istituzioni delle Nazioni Unite UNEP, alcuni media e tra gli osservatori più avanzati, si evidenzia come questa e altre pandemie nel recente passato abbiano una buona parte di cause nel rapporto tra uomo e ambiente troppo spesso disequilibrato.
Come ha scritto il 16 aprile Giulia Maria Crespi, Presidente Onorario FAI in una lettera al Corriere della Sera:
«Una delle cause di questa pandemia è da ricercare nel rapporto tra Uomo e Madre Terra che ha perduto il proprio equilibrio e la propria natura. Questo a causa dei cambiamenti climatici, della deforestazione, della progressiva invasione delle città in aree naturali che fungono da “filtro”, di una agricoltura troppo intensiva e forzata.»
Lo stesso Pontefice Papa Francesco ha dichiarato «non so se sia la vendetta della Natura, ma di certo è la sua risposta».
Già nel 2012, lo studioso americano David Quammen, nel libro Spillover, un saggio-reportage sui meccanismi delle malattie, aveva già predetto che la prossima pandemia sarebbe stata causata un virus che avrebbe fatto un salto di specie, uno spillover in gergo tecnico. Ma aveva anche avvertito che la responsabilità di questo spillover è tutta dell’uomo:
«Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi a essere diventati molesti, visibili e assai abbondanti».
In una recente intervista a “Wired”, Quammen ha sottolineato: «Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo. […] Stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e quando un virus effettua uno spillover, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. […] Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse».
Anche il mondo vegetale e animale non è immune a patologie pandemiche dovute all’alterazione degli ecosistemi, all’agricoltura e all’allevamento intensivi e ai cambiamenti climatici: per esempio, come gli ulivi, indeboliti dagli shock meteorologici e resi così più vulnerabili alle malattie, sono stati preda della Xylella, così i polli e i suini, da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, sono stati vittime di patologie pandemiche che la medicina ha rilevato come morbi sconosciuti e con un ritmo insolito.
Queste pandemie a livello animale e vegetale determinano grossi problemi economici, oltre che ecosistemici, e lo stesso principio vale per le epidemie virali come quella che stiamo vivendo con gli sconvolgimenti ai quali ci stiamo affacciando.
Gli scienziati avvisano “la terra si sta ribellando”, ma si sta prendendo anche la sua rivincita. Il Pianeta finalmente silenzioso e con il genere umano chiuso nelle proprie case, ha generato paradossalmente benefici per alcune specie animali che si sono “impadronite” dello spazio lasciato libero dall’uomo: i delfini nel porto di Genova, le famiglie di germani che entrano nei centri commerciali deserti, i cigni che nuotano nei navigli milanesi e i cervi che saltano nei paesi della bassa cremonese, per non parlare poi delle acque limpide della Laguna di Venezia, del Po e dei più grandi porti italiani.
La Terra, lo sta dimostrando, sicuramente resiste e sopravvive a questi cambiamenti, l’Uomo... forse.
È quindi ancora più importante, soprattutto nella Giornata Mondiale della Terra, ristabilire quel rapporto di equilibrio e rispetto che troppo spesso la specie umana dimentica, non rendendosi conto che così distrugge proprio la nostra Casa Comune.
Molti analisti, già prima della crisi Covid-19, evidenziavano come buona parte degli investimenti mondiali si stessero indirizzando verso la sostenibilità ambientale, verso nuove tecnologie green, verso settori di innovazione che fossero più “amici del pianeta”. Anche esponenti del mondo industriale italiano e non, richiamano all’urgenza di concentrare gli investimenti sulla sostenibilità in poco tempo e immediatamente, contribuendo così in modo “sensato ed efficace” alla ricostruzione del nostro modello di vita.
Il Green New Deal della Commissione Europea assume alla luce di questi giorni ancora più importanza: gli investimenti in sostenibilità ambientale (nuove tecnologie, nuove pratiche e nuova cultura) sono quelli che garantiranno il nostro rispetto verso la Terra e quindi, di ritorno, la nostra salute.
Ecco allora che anche il ruolo e la visione di una Fondazione come il FAI possono rappresentare uno stimolo e una proposta a questo nuovo approccio sociale, culturale, economico, ambientale.
Non partiamo da zero, abbiamo avviato da tempo un importante lavoro sulla sostenibilità e sulla difesa di territori, ambienti, culture e storie che possono essere una buona base per la crescita di una consapevolezza, da parte di tutti, che il rapporto con la Terra è fondamentalmente complesso e necessita di conoscenza, rispetto e responsabilità.
Dai Beni del FAI, presidio di bellezza, cultura e storia, vogliamo dimostrare come si possa, tutti insieme, ritrovare questo equilibrio stravolto con azioni piccole e grandi che ognuno può quotidianamente fare.
Sarà dunque un modo di “reinventarsi” in un nuovo contesto, accentuando una sensibilità che già faceva parte del nostro DNA, delle nostre origini, trasmettendo una visione a 360° di attenzione e di “visione” per un mondo nuovo che, appresa la lezione, si saprà regolare e “resettare”, ascoltando il messaggio che la Terra ci ha voluto trasmettere.
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