14 maggio 2025
Davanti all’obiettivo di Ghitta Carell (1899-1972) posarono i massimi protagonisti dell’epoca: dall’aristocrazia all’alta società, dal mondo della politica a quello della cultura, e perfino della Chiesa, in Italia e oltre i confini.
I suoi scatti nitidi, intensi ed eleganti, dallo stile inconfondibile, capace di fondere classicismo e modernità in un’estetica nuova e seducente, e di infondere bellezza, carattere, prestigio, e un sofisticato glamour, in ogni ritratto, costituiscono una galleria affascinante che attraverso volti, sguardi, pose, abiti e accessori, firme e dediche, ripercorre la storia e la cultura del Novecento.
Curata da Roberto Dulio, l’esposizione raccoglie più di cento opere, tra fotografie vintage –r ecuperate da decine di collezionisti privati – lettere, cartoline, libri, documenti d’archivio e l’attrezzatura fotografica, esposta per la prima volta in una mostra.
«Ghitta Carell leviga una sintesi espressiva che salda, in seduzione dialettica, accordi, tensioni e contrasti tra avanguardia e tradizione, in piena sintonia con il più elevato dibattito artistico dell’epoca. Nella caleidoscopica miscela figurativa della fotografa lievitano suggestioni desunte da contesti remoti, a volte antitetici, come la ritrattistica rinascimentale e barocca e il gusto glamour delle fotografie che consacrano il divismo degli attori d’oltreoceano. I suoi soggetti, di cui studia con minuzia abbigliamento e posizione appaiono in bilico tra un formalismo solenne e un immaginario hollywoodiano: memoria del passato ed eloquenza espressiva del presente», afferma il curatore.
Tra le fotografie, alcuni ritratti sono legati al luogo, Villa Necchi Campiglio, come quello dell’architetto Piero Portaluppi, autore del progetto della villa, e delle due sorelle Necchi, Nedda e Gigina, che ne furono proprietarie, e la donarono al FAI; anche Giulia Maria Crespi, fondatrice del FAI, compare giovane a fianco della madre in un ritratto.
Ed è proprio dalla presenza di questi ritratti familiari che nasce l’idea della mostra a Villa Necchi, con un progetto di allestimento che presenta un display museale nello spazio dedicato alle mostre e dispone poi altre fotografie negli ambienti della casa, sugli arredi, con le loro cornici originali, come fossero state collocate lì dagli stessi proprietari. Villa Necchi, del resto, non è un museo, ma una casa, e mostre come questa sono pensate dal FAI proprio per valorizzarne l’identità e l’atmosfera speciali, e per raccontare da un altro punto di vista lo spaccato di vita, di società e di cultura del Novecento che questo luogo di per sé testimonia ed esprime.
«Questa mostra è perfetta per Villa Necchi, perché l’alta società fotografata dagli anni Trenta da Ghitta Carell è la stessa rievocata da Villa Necchi. Quel mondo si ritrova qui: nell’architettura all’avanguardia di Portaluppi, temperata dallo stile di Tomaso Buzzi; nella collezione d’arte che annovera i più grandi nomi del Novecento (donata da Claudia Gian Ferrari), come negli armadi che conservano intatti vestiti e accessori alla moda in quegli anni; e nella storia degli stessi proprietari, le sorelle Necchi, che si erano fatte ritrarre due volte ciascuna da Ghitta Carell. Sapevamo di avere queste fotografie, ma non sapevamo quante storie potessero raccontare, se studiate e abilmente ricucite al loro contesto storico e culturale come in questa mostra. E non si tratta solo di storie del passato. Questa mostra fa riflettere su temi generali e attualissimi: dalle forme della rappresentazione del potere, alla definizione dei canoni di bellezza; dalla seduzione delle mode alla manipolazione delle immagini, capaci di costruire personaggi e modificare caratteri, a partire dal ritoccarne l’aspetto, come la fotografia sempre più fa oggi, con filtri e programmi digitali, e come un tempo faceva l’arte», Daniela Bruno, Direttrice Culturale FAI
Nata nel 1899 nella contea ungherese di Szatmár da una famiglia ebrea, Ghitta Klein, in visita a Firenze nel 1924, decide di fermarsi in Italia e intraprendere la professione di fotografa. Ribattezzatasi Carell per l’occasione, in breve tempo, entra in contatto con l’aristocrazia, l’élite intellettuale e la classe politica italiane.
Davanti al suo obiettivo hanno posato, nell’arco di quarant’anni, personalità di spicco, come Vittorio Emanuele III e la regina Elena, Umberto e Maria José di Savoia, Margherita Sarfatti, Benito Mussolini, Cesare Pavese, Neville Chamberlain, la regina madre d’Inghilterra Elizabeth con la figlia Margaret, le famiglie Mondadori e Pirelli, Walt Disney, Pio XII e Giovanni XXIII.
Le personalità italiane più note – o aspiranti alla notorietà – degli anni Trenta si susseguono nello studio di Piazza del Popolo 3 a Roma, dove Ghitta Carell si è ormai trasferita dopo l’esordio fiorentino. Negli anni di più intensa attività apre uno studio anche a Milano, in via Conservatorio 20, dove fotografa la famiglia Necchi Campiglio e lo stesso Piero Portaluppi, progettista della loro casa milanese.
Carell utilizza un’attrezzatura tradizionale – un grande macchina con cavalletto della ditta Luigi Piseroni di Milano, esposta in mostra – che impara subito a padroneggiare. Si tratta di un apparecchio con lastre di grande formato (cm 18 × 24), all'occorrenza sostituito da più agili macchine portatili, ma sempre dello stesso formato. La fotografa dimostra subito un indubbio talento nel mondo della fotografia, o meglio del ritratto fotografico, con il quale sintetizza le esperienze che più l'hanno interessata, sia della fotografia che della pittura rinascimentale. Si sofferma sui tagli, le inquadrature, i particolari, l’uso delle luci, arrivando alla definizione di uno stile inconfondibile.
Sulla lastra sono fissate le immagini che poi la fotografa ritocca a tavolino come oggi si farebbe con filtri e programmi digitali, con un apposito leggio e una serie di strumenti – matite, colori, pennelli, raschietti – che faranno sembrare il suo atelier più simile a quello di un pittore che di un fotografo.
La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 sconvolge la vita degli ebrei italiani e anche quella di Ghitta Carell. Non sarà perseguitata, ma il suo ruolo e il suo nome inizieranno a essere censurati e omessi. Trascorrerà in Italia gli anni della guerra, nascosta tra Roma e Milano. Nel dopoguerra continuerà la sua attività su cui aleggia il ricordo – drammaticamente espiato – del fascismo e nel 1969 si trasferirà ad Haifa, dove vivono la sorella e la nipote, e dove morirà nel 1972, lasciando una serie di stampe e alcune lastre fotografiche all’Istituto Italiano di Cultura della città, che ha concesso il patrocinio a questa mostra.
Il FAI intende lanciare una Call for portraits, ovvero una ricerca diffusa tramite social e canali digitali, per ritrovare fotografie di Ghitta Carell conservate nelle case delle famiglie milanesi.
Per segnalare un’opera è necessario scrivere all’indirizzo mostraghittacarell@fondoambiente.it al fine di sottoporre le immagini all’attenzione dei curatori, fino al 3 ottobre 2025. Le fotografie selezionate saranno richieste in prestito per la mostra.
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