08 luglio 2016
"Le poche righe che seguono rappresentano un'opinione personale, ma si è cercato attraverso il confronto con il personale tecnico-scientifico e con i colleghi dirigenti di rappresentare preoccupazioni trasversali e diffuse.
Si premette ovviamente che non è compito dei dirigenti di un Ministero, una volta che i vertici hanno deciso di non consultarli preventivamente per l'espressione di un parere, valutare gli indirizzi politici dati alla governance del MiBACT, ma gli stessi possono e debbono cercare di coadiuvare al meglio l'implementazione pratica e di dettaglio di tali indirizzi per l'ottenimento dei risultati prefissati a vantaggio dell'interesse pubblico.
È dunque fondamentale chiarire che il problema non è valutare per esempio chi è personalmente a favore e chi è contrario, sul piano teorico, ad una visione "olistica" dell'attività di tutela, visione peraltro più che legittima e sostenuta anche con argomentazioni indubbiamente degne di considerazione. Si vuole invece verificare, sulla base dell'esperienza e della conoscenza della struttura nelle sue minute articolazioni, se l'applicazione pratica derivante da tale impianto teorico è tecnicamente e concretamente la più efficace o perlomeno è comunque in grado di realizzare gli obiettivi prefissati in tutti gli ambiti territoriali e settoriali dell'Amministrazione.
In particolare si ricorda che una visione "olistica" difficilmente sarà derivante da una modifica della professionalità individuale ma più correttamente dovrà derivare da una effettiva collegialità di visioni specialistiche raccolte con un processo non più esterno ma interno agli uffici.
Può essere utile cercare di chiarire anche l'aspetto psicologico del contesto in cui cadono questi successivi ed ininterrotti cambiamenti (ormai succedutisi a ritmo sempre più incalzante in oltre un decennio), legato al clima in cui operano dirigenti e funzionari gravati di responsabilità delicate e pesanti, spesso lasciati ad affrontare in solitudine con risorse e mezzi inadeguati situazioni di prima linea, contro speculatori agguerriti e talvolta anche contro interessi malavitosi, per garantire la salvezza di beni che hanno più che mai bisogno di difensori forti.
Lo stesso concetto di tutela prende a prestito dal diritto romano l'idea di affidare a qualcuno che abbia adeguata solidità la rappresentanza e la difesa degli interessi di un soggetto, nel nostro caso il Patrimonio, esposto e non in grado di difendersi da solo: il tutore deve agire rigorosamente nell'interesse del tutelato, pena il tradimento del suo mandato e del suo ruolo.
Molto spesso, dunque, dirigenti e funzionari si trovano, caricati fortemente sul piano deontologico dalle implicazioni di tale delega, a supplire con impegno e sacrificio personale alle piccole e grandi carenze organizzative e finanziarie dello Stato, supremo protettore dei Beni Culturali e del Paesaggio. Sarebbe stato dunque logico aspettarsi, secondo criteri di opportunità ed efficienza e non certo in una logica di casta, che questa nuova ennesima riforma fosse stata pensata più "con" chi comunque si troverà ad applicarla rendendola effettiva: così non è stato, di fatto, e dunque va subito detto che questa riforma è in gran parte in periferia subita, per obbedienza e disciplina, e talvolta, anche nelle espressioni utilizzate, percepita "contro" chi fino ad oggi ha comunque assicurato prioritariamente la salvaguardia del Patrimonio.
Non aiuta in questo quadro un dettaglio che pare comunque significativo e non casuale: con la definitiva attuazione della riforma nessuna soprintendenza italiana, a differenza del passato, avrà una posizione di "prima posizione retributiva", essendo tutte scaglionate tra la seconda e la terza: eppure sono di prima posizione tutti gli incarichi dirigenziali al Ministero, compresi gli uffici studi, venti musei autonomi, un terzo dei Poli Museali, un terzo dei Segretariati Regionali. Si dovrebbe desumere che si vuole incoraggiare i dirigenti più esperti e capaci ad una carriera fuori dalle Soprintendenze, penalizzando questa funzione così essenziale e caratterizzante dell'azione del Ministero?
Per un buon uso delle parole
Un secondo aspetto merita di essere menzionato: una certa confusione di indirizzi e ruoli dovuta all'impreciso ed ambiguo utilizzo dei termini nel sovrapporsi di norme scritte per successive aggiunte e non in un unico provvedimento organico. Solo per fare un esempio, molto spesso si utilizza il termine valorizzazione in modo ambiguo, confondendo il suo significato specificamente economico con l'accezione più vasta che assume ai sensi dell'articolo 6 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: anche l'articolo 57 bis del Codice (inserito dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62) ha così dovuto esser spiegato da una nota ministeriale (nota Direzione generale Paesaggio protocollo 8387 del 20/3/2013) con l'appunto: «si chiarisce inoltre che il termine 'valorizzazione' ivi citato non è usato nell'accezione dell'articolo 6 del Codice – orientata alla finalizzazione del bene culturale alla promozione della cultura – bensì in quella, ben diversa, di "efficiente impiego", anche sotto il profilo economico».
Ancora dunque si dovrebbe mettere mano per limare quanto meno le contraddizioni lessicali all'interno del Codice del 2004, nonostante le numerose modificazioni ed integrazioni succedutesi in questi anni! Solo sulla base dell'ambiguità sopra richiamata si comprendono da una parte l'affermazione categorica che le Soprintendenze non dovranno più occuparsi di valorizzazione per limitarsi alla tutela, e dall'altra il richiamo per le Soprintendenze a sviluppare programmi di promozione della conoscenza ed educazione all'azione condivisa di tutela e salvaguardia del Patrimonio. Poiché tale azione dovrebbe preferibilmente essere svolta nei luoghi della cultura, con attività comuni con i Poli Museali, non giova certo constatare nelle enunciazioni un'eccessiva contrapposizione di ruoli e strutture.
Anche per le evidenti esigenze di un opportuno riordino delle sedi, dell'adeguamento degli organici prima del rimescolamento degli istituti, dell'assorbimento dei numerosi adempimenti ancora pendenti per i passaggi di beni ed attività ai Poli museali, era parsa in generale molto opportuna una ponderata moratoria, che avrebbe potuto consentire una scaletta temporale più gestibile ed il monitoraggio delle criticità già emerse con la prima fase della riforma avviata nel 2014, lasciando anche il tempo per istruire e motivare meglio tutti i soggetti coinvolti per una gestione convinta e condivisa dei passaggi alla nuova organizzazione. Così pare chiaro che non potrà essere, e dunque è conseguente prevedere con viva preoccupazione alcuni anni di pericoloso stress di una struttura periferica lasciata per troppo tempo in astenia di risorse e con paurosi vuoti di personale in delicate funzioni organiche, anche sperando che si garantisca davvero un pronto intervento per correggere subito eventuali malfunzionamenti nel dettaglio della "macchina" della riforma.
Si vuole comunque attirare l'attenzione su tre consistenti criticità, non senza formulare ipotesi/proposte di correttivi operativi per evitare gli effetti più dirompenti di un'attivazione dei cambiamenti nel corrente anno.
La coralità di competenze specialistiche strutturate sarebbe essenziale per una tutela "olistica" efficace e rispettosa dei tempi e dei procedimenti: un'impostazione "olistica" è possibile solo con una adeguata coralità di competenze, radunabili in strutture di adeguate dimensioni, come Soprintendenze Uniche Regionali, e non certo in piccole soprintendenze per poche provincie, in cui il numero totale di funzionari rischia di essere anche minore delle 7 aree funzionali con a capo un coordinatore, prospettate per ogni Soprintendenza dalla nuova organizzazione. Come si potrà, con gli scarsi organici disponibili, dotare questi uffici di funzionari di esperienza per il contenzioso, di validi servizi amministrativi e di gestione del personale, di specialisti per i diversi ambiti di tutela anche in considerazione dell'articolazione specialistica della tutela archeologica (paleontologia, preistoria, protostoria, numismatica, epigrafia, archeologia classica, archeologia medievale)?
Lo stesso si può dire anche di attrezzature, articolazioni e laboratori (restauro, biblioteche, archivi…), già oggi privi di organici lontanamente adeguati, organizzati a livello regionale nell'arco di decenni e non riferibili domani se non ad una soprintendenza locale, con la necessità di organizzare efficaci e puntuali modalità di fruizione da altri uffici non dotati, soprattutto nelle nuove sedi, con perdita dei risparmi derivanti dalle economie di scala ottenute con la centralizzazione. La conservazione ed il restauro non entrano nelle Aree Funzionali, pur avendo professionalità specialistiche dedicate, e mantengono un ruolo trasversale, ma rischiano di non essere adeguatamente operativi, essendo già oggi paurosamente scoperti soprattutto nel personale intermedio. Anche l'eventuale consultazione di esperti universitari nella quotidianità della tutela (secondo i modelli dei c.d. "Policlinici", concepiti però più nell'ottica e con i tempi della ricerca) mal si concilierebbe con la necessità di produrre pareri in tempi rigorosamente contingentati, oltre alla difficoltà della condivisione reale delle responsabilità amministrative ai sensi della legge 241/1990. Bisognerebbe dunque favorire strutturali collegamenti tra gli uffici delle regioni più piccole ed evitare al massimo la frammentazione nelle regioni maggiori, o quanto meno realizzare con opportuna gradualità l'impianto delle nuove sedi, orientando i concorsi anche per le competenze specialistiche e ripartendo con attenzione il personale tecnico scientifico, favorendo la costituzione di agili servizi di consultazione a scala regionale oltre ad istituzionalizzare un periodico confronto tra funzionari per le specificità peculiari di settore. Inoltre il personale globale nelle regioni in cui le soprintendenze sono ripartite sul territorio dovrebbe aumentare rispetto agli organici regionali già definiti, per dotare il maggior numero di uffici progettato dei necessari servizi base, in senso contraddittorio rispetto all'impostazione di ricavare con l'accentramento strutturale economie di scala ai fini della spending review.
Il cambio delle strutture e delle responsabilità tecniche del Dirigente impone da subito un diverso modello gerarchico. Le nuove soprintendenze dovrebbero rivedere decisamente l'attuale rapporto soprintendente-funzionari (oggi rigidamente monocratico, poiché il soprintendente assomma competenze amministrative e tecniche), per rispetto delle rispettive specificità, superando il modello rigorosamente gerarchico che mostra oggi un consistente gradino tra il soprintendente e funzionari più esperti, premiando adeguatamente anche sul piano stipendiale la maggiore inevitabile responsabilità tecnica dei responsabili d'area, non sottoposti per lo più al controllo specialistico di un soprintendente tecnico. Questo sarebbe doveroso anche a fronte del fatto che il personale tecnico-scientifico ha continuato ad operare - con stipendi indecorosi e ridotte possibilità di carriera - ben oltre i propri doveri e non è affatto, come è stato scritto, vecchio anche in spirito e demotivato.
Anche questa problematica consiglierebbe un'effettiva gradualità per le nuove sedi, che rischiano di essere dotate di personale sufficiente solo con gravi ritardi, solo con la conclusione dei prossimi concorsi, e comunque riempite per lo più di funzionari di prima nomina senza un possibile passaggio di esperienza da funzionari più anziani. Sarebbe stato dunque opportuno che in una prima fase le nuove sedi fossero state istituite solo formalmente ma attribuite anche sul piano dirigenziale ad una sede vicina, onde consentire la progressiva implementazione per gemmazione di tutte le funzioni fino all'attivazione effettiva dell'Ufficio senza gravare di ulteriori incarichi a scavalco (già oggi moltiplicati oltre la sopportabilità dalla nascita dei Poli Museali) la struttura organizzativa ed il personale degli uffici.
Del resto chi o che cosa impone questa fretta? E' stato detto – soprattutto per tranquillizzare i sindacati ed il personale - che nessuno sarà spostato in modo non volontario e che, fino agli esiti dei concorsi, nelle sedi di nuova istituzione potrebbero essere incaricati della gestione (per un periodo che può arrivare tranquillamente ad un paio d'anni!) anche solo un soprintendente ed un segretario. E' seria ed ammissibile anche solo la formulazione di una simile ipotesi?
Nella fase organizzativa, nel breve/medio periodo, è fortissimo, se non certo, il rischio di vuoti nell'attività di tutela: la gestione della transizione deve essere ben programmata nei modi e nei tempi e certo non può essere frettolosa, essendo a rischio la stessa sostenibilità dell'azione di tutela per un periodo di almeno uno/due anni nelle più rosee previsioni. Sarebbe opportuno incominciare ad accorpare direzioni generali e soprintendenze uniche nelle regioni più piccole e solo dopo un adeguato ingresso di nuove unità organiche dividere le soprintendenze nelle regioni più grandi, in modo da non gravare il personale – eccessivamente per lo più ridotto all'osso e non ancora sgravato da compiti a scavalco verso il Polo o degli adempimenti connessi alle verifiche inventariali a valle delle consegne ai Poli - di nuove ulteriori incombenze per le verbalizzazioni e contabilizzazioni dei nuovi necessari passaggi, sovrapposte agli adempimenti di tutela per cui non è affatto diminuita la responsabilità amministrativa e patrimoniale.
Si ricorda che in molte regioni il completamento della mobilità verso i Poli in aggiunta al continuo pensionamento di unità lascerà quest'anno le Soprintendenze già esistenti con organici effettivi vicini o sotto la soglia del 50% degli organici approvati (e già in applicazione di spending review!) per troppe aree funzionali e dunque nella virtuale impossibilità di separare altro personale per dotare adeguatamente nuove sedi o di sostenere nuovi carichi di lavoro. Il passaggio di competenze deve invece essere realizzato verso uffici già operativi o comunque vicini alla piena operatività, pena la costituzione di rischiosissime voragini nell'azione di tutela, che pure si dichiara di volere razionalizzare e potenziare sul piano dell'efficacia. Potrebbe essere utile ricordare che, anche ammesso di contare sui futuri concorsi per raggiungere un organico appena sufficiente all'operatività funzionale nelle nuove sedi, tali concorsi sono potenzialmente e statisticamente esposti a ritardi anche per possibili contenziosi amministrativi, sistematicamente verificatisi nei concorsi passati.
In conclusione: molti disagi sarebbero stati affievoliti generalizzando Soprintendenze Uniche Regionali, adeguatamente ripartite nelle responsabilità operative ma fortemente legate ad un coordinamento unico nella direzione dirigenziale, capaci di realizzare un'effettiva collegialità e di gestire più funzionalmente un processo di accorpamento che non smantelli inutilmente unità operative già funzionanti ed affiatate. Quanto meno non si dovrebbero nella prima fase applicativa creare nelle regioni maggiori più soprintendenze di quelle adesso esistenti, puntando invece ad aumentare ed articolare meglio le sedi operative dipendenti (secondo un modello tipico di molte soprintendenze archeologiche, adesso scardinato dalla cessione ai Poli di molti musei dislocati che fungevano anche da nuclei operativi per la tutela), come risposta più efficiente, efficace ed economica alle esigenze di vicinanza ai territori.
Più in generale, risulterebbe opportuna una maggiore gradualità della riforma ed un monitoraggio in corso d'opera degli effetti, per un intervento pronto ed efficace in caso di criticità specifiche, partendo dall'esame di quanto determinato dal processo del passaggio di molte strutture e risorse organiche ai Musei Autonomi o ai Poli Museali Regionali".
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