29 aprile 2016
Se la disciplina dei beni culturali, quella che risale alle leggi del 1939 e poi arriva al testo unico del 1999 e al codice del 2004, rappresenta la "mente", l'apparato amministrativo, il ministero "ad hoc" creato nel 1974 costituisce il "braccio" del sistema italiano del patrimonio culturale. Ora, mente e braccio non hanno quasi mai proceduto insieme. Dal 1939 al 1974, vi è stata la mente, ma il braccio non c'era: l'amministrazione della legge era affidata ad uffici interni al Ministero della pubblica istruzione, quasi che i beni culturali (le cose d'arte) avessero rilevanza legislativa, ma scarsa o nulla rilevanza amministrativa; che – in altre parole - per la tutela bastasse la norma, senza gli esecutori della norma, o con un numero ristretto di esecutori.
Questa diffrazione nella propagazione della normativa è continuata dopo il 1974, perché il Ministero fu costituito come un mero contenitore, come se la disciplina del 1939 non avesse bisogno di essere ammodernata e di calare in una struttura amministrativa preparata "ad hoc". Invece, si prese il modello ministeriale classico, con le sue belle piramidi di uffici, e vi si calò dentro la disciplina vecchia. Vecchia, anche se molto efficace, era la normativa degli anni Trenta; vecchio era il modello di ministero che veniva usato. Si combinarono i due modelli e ne venne fuori una "non riforma".
Gli anni che seguirono furono sonnolenti, con improvvisi risvegli, quelli del testo unico e del codice, e qualche turbamento, dovuto alle microriforme del ministero, che poco modificarono, essendo rimasto in piedi il modello originario. Né la riforma dei Ministeri del 1999 contribuì a migliorare la situazione, perché il Ministero per i beni culturali ne rimase sostanzialmente fuori.
L'interesse della fase odierna, che si è aperta nel 2014, sta nella rottura della vita separata di disciplina e di organizzazione, di mente e braccio.
Di questa nuova vita "coniugale" vedo molti segni: l'attenzione per l'aspetto globale del patrimonio culturale, l'introduzione del cosiddetto artbonus, il nuovo assetto dei musei, la soluzione trovata per Pompei. Sembra, quindi, che finalmente fini e mezzi, disciplina dei beni culturali e ordinamento amministrativo, mente e braccio, procedano appaiati, nel senso che c'è attenzione della politica e del governo per ambedue gli aspetti, quello dell'assetto materiale del patrimonio e quello dei soggetti che debbono gestirlo o controllarlo.
Il recente libro di Lorenzo Casini ha passato in rassegna e analizzato tutte le novità di questo biennio fecondo di iniziative, indicando anche le strade per ulteriori sviluppi e le prospettive che si aprono a una gestione meno localistica dei beni culturali, e quindi non mi debbo soffermare su ognuno degli interventi. Mi limito solo a un esempio, quello della sottrazione dei musei alla struttura gerarchizzata e del loro separato evidenziamento. In questo caso, si è preso atto che quel complesso di beni culturali che chiamiamo museo è divenuto luogo privilegiato di fruizione e di ricerca, che richiedeva un adeguato riconoscimento con la concessione di un certo grado di autonomia, in modo che la sua valorizzazione procedesse lungo strade che possano essere diversificate. Si tratta di un processo non diverso da quello che ha riguardato le università, incluse in passato in uno schema ministeriale non diverso da quello di ministeri di esecuzione e non diverso dal percorso che hanno intrapreso, più tardi, gli istituti scolastici. Non occorre nascondersi le difficoltà che si preannunciano. I nuovi interventi arrivano su decenni di diffrazione e dunque ci vorrà tempo e fatica per riallineare mente e braccio, mettendo in sintonia riforme amministrative generali con quella del settore. Poi, ogni "coniugio", per funzionare, ha bisogno che tutti i soggetti coinvolti collaborino: politica, strutture, personale, opinione pubblica, dovranno cooperare, se vogliono superare gli inconvenienti del passato.
Sabino Cassese
* Giurista. Attualmente professore di "Global governance" al "Master of Public Affairs" dell'"Institut d'Etudes Politiques" di Parigi. Giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa. Fra i suoi ultimi libri, «Dentro la corte. Diario di un giudice costituzionale» (Mulino 2015), «Governare gli italiani» (il Mulino 2014), «L'Italia: una società senza Stato» (il Mulino 2011), «Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato» (Einaudi 2009). Il suo «Manuale di diritto pubblico» è arrivato alla quinta edizione nel 2014.
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