28 giugno 2021
Alpeggi, boschi e antiche malghe si aprono davanti agli occhi dei visitatori che arrivano al Bene FAI Alpe Pedroria e Madrera, nel cuore del Parco delle Alpi Orobie in Valtellina: 200 ettari di paesaggio alpino lasciati al FAI nel 2011 dall'architetto Stefano Tirinzoni. Qui la Fondazione ha intrapreso un progetto di recupero del paesaggio rurale, per restituire alla montagna la storica vocazione del pascolo.
In Italia, negli ultimi 150 anni, il sistema dei prati e dei pascoli è diminuito in modo significativo, soprattutto nelle zone montane: da 6.113.000 a 3.346.951 ettari. Alpeggi e prati alpini, animali al pascolo e strade di pietra sono da secoli gli elementi più rappresentativi della presenza umana nelle Alpi e sono diventati elementi identitari del paesaggio, oltre a svolgere funzioni ecologiche importanti. Oggi, l'abbandono di questi territori rappresenta un vulnus cruciale nella conservazione dell'identità delle comunità montane che influisce negativamente sulla qualità della vita e, peggio ancora, aumenta la vulnerabilità dei territori agli effetti dei cambiamenti climatici.
Perché?
«I cambiamenti climatici colpiscono le montagne in maniera molto sensibile. In particolare, le Alpi stanno subendo un riscaldamento doppio rispetto a quello che si manifesta in altre aree, con un aumento di circa 2°C registrato nel corso del Novecento rispetto alla media che si attesta attorno a 1°C nell’emisfero nord: una tendenza che ha subìto un’accelerazione notevole soprattutto negli ultimi tre decenni, e un’accentuazione alle quote più elevate.» Telmo Pievani, Mauro Varotto, Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro, Aboca, 2021
L'abbandono di terreni coltivati da secoli contribuisce enormemente alla fragilità delle aree montane. Di fronte ai cambiamenti climatici, agli eventi meteorologici estremi e all'instabilità idrogeologica, l’abbandono ha prodotto una grave perdita di qualità e varietà paesaggistica, genetica e ambientale in generale. Private di qualsiasi manutenzione, le aree montane sono diventate zone altamente vulnerabili con conseguenze che possono diventare drammatiche: l'impatto di questo abbandono delle terre porta a un'instabilità e a una perdita di servizi eco-sistemici anche per le regioni a valle, fino alla pianura.
L'allevamento di bestiame nell’arco alpino è stato fondamentale nel processo di co-evoluzione culturale e ambientale, determinato dall'adattamento dell’uomo alla vita nelle zone ad alta quota. I prati e i pascoli distribuiti a diverse altitudini, consentono, infatti, la pratica dell'estivazione, cioè lo sfruttamento da parte delle mandrie della graduale maturazione della vegetazione in base all'altitudine, ma hanno anche assunto un importante valore ecologico, garantendo una maggiore qualità dei suoli e delle specie erbacee e favorendo l’habitat a diverse specie. Il pascolamento non è altro che la forma originaria dell’alimentazione degli erbivori domestici e selvatici e può essere definito come l’incontro fra l’animale e l’erba, in altre parole fra due entità biologiche, ciascuna con caratteristiche ed esigenze proprie, dove è primaria e importantissima l’interazione di diverse componenti, quali: piante e animali, microflora e microfauna, clima e suolo. Il recupero del mosaico paesaggistico e culturale permette, quindi, di limitare la riduzione di biodiversità animale e vegetale che è frutto della plurisecolare interazione tra processi naturali e azione dell’uomo.Inoltre, con l’abbandono dei pascoli il processo di ricolonizzazione da parte della vegetazione arbustiva ha portato alla chiusura di vaste aree di prateria con significativi cambiamenti nella biosfera e perdita di diversità, sia in termini paesaggistici che naturalistici (biodiversità) provocando cambiamenti significativi della flora dei pascoli.
Nel 2013 il FAI ha dunque avviato il recupero ambientale e paesaggistico dei 200 ettari di alpeggi dell’Alpe Pedroria e Madrera per riportare alla loro attività produttiva originaria i pascoli alpini abbandonati da oltre 30 anni, attraverso il ripristino dell'attività pastorale e di un’agricoltura sostenibile; la conservazione del patrimonio zootecnico autoctono e la produzione del formaggio tradizionale locale (Bitto).
Il progetto è stato avviato con il restauro del percorso "Stefano Tirinzoni" che porta dall’Alpe Piazza a Pedroria. Le indagini preliminari si sono concentrate sullo studio delle caratteristiche dei pascoli locali e sulla stesura di un piano di pascolo sostenibile; il monitoraggio dell'avifauna e della fauna selvatica; le misure e i controlli dello stato di conservazione delle baite di montagna con indagini strutturali sulle baite dei due principali nuclei. La ripresa dei pascoli è iniziata nel 2014 (7%) contemporaneamente alla messa in sicurezza delle prime due baite utili all'attività pastorale. Tra il 2016 e il 2019 il restauro dei sentieri è stato completato al 100% con l'integrazione dei cartelli di sentieristica; si è conclusa la prima fase di restauro delle aree di pascolo, nonché delle strutture e infrastrutture funzionali all'attività pastorale: sono state allestite le due baite recuperate all’alpe Pedroria come casera e come abitazione del casaro, è stato realizzato un blocco bagno con servizi ad uso dell’allevatore e dei visitatori. Ciò ha permesso il ritorno del pascolo, attraverso l'acquisizione e l'insediamento del bestiame per l'inizio della produzione di formaggio Bitto. Dal 2019 stiamo lavorando al recupero della grande stalla dopo averla messa in sicurezza, così come la Baita Eterna e tutte le baite dell’Alpe Madrera. Negli edifici recuperati, oltre agli usi agricoli, è prevista la creazione di spazi per la didattica e per il racconto al pubblico della vita alpina e del suo ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile.
In quest’ottica il progetto ha anche un importante obiettivo di ripopolamento di specie animali a rischio di estinzione. All’inizio del XX secolo le Alpi Orobiche erano popolate da vere e proprie “razze” autoctone, ma nel corso del tempo l'allevamento è stato progressivamente distaccato dal territorio, causando una grave riduzione della biodiversità dovuta alla selezione delle razze in base alle esigenze del mercato e non a quelle dell'ambiente. Oggi all'Alpe Pedroria e Madrera, dopo il ripristino dei pascoli, sono state reintrodotte le razze di vacche Brune Alpine (Original Brown) e le Capre Orobiche. La famiglia Sassella si prende cura e gestisce i capi di bestiame.
Grazie al latte prodotto da vacche e capre originarie di questo tratto delle Alpi, si potrà produrre il famoso prodotto caseario della Valtellina, il Bitto. Formaggio a lunga stagionatura, è prodotto esclusivamente in caseifici di montagna a partire dal latte vaccino con l'aggiunta di latte di capra. La qualità e la tipicità del Bitto sono strettamente legate all'ambiente alpino, alle sostanze aromatiche contenute nell'erba dei pascoli e alla microflora lattica degli ambienti ad alta quota, nonché alla capacità dei casari e dei pastori. La tecnica di produzione artigianale esalta queste peculiarità, soprattutto quando il latte, come da tradizione, viene lavorato in loco, appena munto, quindi non alterato o modificato da processi chimici o fisici, naturali o tecnologici. Il modello pastorale si basa su un tipo di pascolo definito in gergo tecnico come "razionato". L'area del pascolo è divisa in molti piccoli lotti, delimitati da bassi muri in pietra, il bàrek (baregi, barchi o barrichi in italiano arcaico) in ognuno dei quali la mandria si ferma per mezza giornata seguendo un calendario calibrato sul ciclo di maturazione dell'erba. In questo modo, ogni giorno vengono utilizzati due lotti, uno cosiddetto lotto "magro" di qualità nutrizionale non eccellente, l'altro lotto "grasso", di qualità superiore. Ciò garantisce un'alimentazione equilibrata e costante agli animali, un uso ottimale del foraggio e la conservazione dell'integrità e della produttività dell'erba grazie ad una distribuzione uniforme ed equilibrata del letame organico.
Il paesaggio dell’Alpe Pedroria e Madrera è conservato nel rispetto della biodiversità e della tradizione agro-silvo-pastorale. Il presidio sulle aree montane che queste attività altamente sostenibili riescono a garantire è fondamentale per la sicurezza dei territori e quindi è un piccolo, ma necessario tassello che la Fondazione si impegna a portare avanti per mitigare anche l’impatto del Climate Change e favorire l’adattamento e la resilienza dei territori.
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