19 luglio 2021
Diodoro Siculo narra che nel 480 a.C. il tiranno Terone, per approvvigionare d’acqua la città di Akgras (l’odierna Agrigento), fece progettare una rete di gallerie – acquedotti feaci – la cui acqua confluiva ai piedi dell’urbe in una grande “piscina” detta Kolymbethra, “popolata da pesci e da cigni”. In seguito non fu più utilizzata come piscina e, una volta interrata, quest’opera fu capace di trasformare l’arida terra siciliana in un giardino fiorente di piante mediterranee.
L’acqua è dunque la risorsa più preziosa del Giardino della Kolymbethra nella valle dei Templi, Bene affidato in concessione al FAI dalla Regione Sicilia nel 1999.
Non più coltivato fino all'arrivo della Fondazione, il Giardino della Kolymbethra era in uno stato di forte degrado, causato dal totale abbandono e dalla mancanza d’acqua. Un terzo degli agrumi erano secchi o mancanti e gli alberi erano seriamente compromessi dagli attacchi di numerosi parassiti e ricoperti da una fitta trama di rovi, che aveva provocato lo strozzamento delle piante. I mandorli sui pendii erano quasi tutti morti per la siccità, i parassiti o distrutti dagli incendi, e i pochi sopravvissuti presentavano i segni di un’irreversibile senescenza. Gli antichi olivi non erano più produttivi e il terreno, un tempo coltivato, era stato invaso e colonizzato da una densa vegetazione arbustiva ed erbacea.
L'intervento del FAI ha riportato all'antico splendore il Giardino e una parte importante di questo progetto è stato il recupero del tradizionale sistema irriguo di origine araba con il ripristino degli antichi ipogei, quella rete di gallerie che consente l’approvvigionamento e il riutilizzo dell’acqua piovana e risorgiva in questa zona d'Italia, di per sé insufficiente oggi e ancora di più in futuro a causa dei cambiamenti climatici.
La Sicilia, infatti, è uno dei territori italiani più esposti agli effetti del Climate Change. A causa della sua posizione geografica, nel mezzo del mar Mediterraneo, è particolarmente vulnerabile agli eventi estremi, a ondate di calore che provocano siccità e aridità dei terreni: l’isola è classificata ad alto rischio di desertificazione e la forte pressione sulle risorse idriche potrebbe portare a una riduzione della qualità e della disponibilità di acqua con l’ulteriore rischio di perdita di biodiversità ed ecosistemi naturali.
Se non iniziamo a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, la Sicilia fra pochi secoli potrebbe diventare “un deserto roccioso del tutto simile a quello libico e tunisino sull’altro lato del Mediterraneo”, come scrivono Telmo Pievani e Mauro Varotto in Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro, Aboca, 2021.
Il primo intervento del FAI è consistito nella riattivazione degli ipogei, grazie alla rimozione dei sedimenti accumulati negli anni dell’abbandono. Gli ipogei erano strutture cunicolari scavate dall’uomo per assolvere principalmente al fabbisogno d’acqua, tipico di queste terre. Parallelamente il FAI è intervenuto nella manutenzione e consolidamento del torrente e del rio affluente che attraversa il Vallone della Kolymbethra, così da mettere in sicurezza l’area, evitare danni ai campi coltivati e contribuire alla riqualificazione naturalistica del Giardino. Le operazioni sono state effettuate secondo le tecniche dell'ingegneria naturalistica, coniugando l'utilizzo di materiali naturali, legno e pietra, con la piantumazione di piante vive, banchi e tamerici, a scopo di consolidamento.
Per chiudere il ciclo idrico e utilizzare l’acqua recuperata dai canali ipogei e dal rio ai fini irrigui sono state restaurate le due gebbie (vasconi) del giardino che fungono da vasca di accumulo, e poi i cunnutti - condotti in terra battuta realizzati con un sapiente lavoro manuale - e quindi le casedde - conche realizzate attorno a ogni singola pianta - che insieme ai vattali - piccoli argini di terra - aumentano l’efficienza d’irrigazione. Si è così ripristinato un sistema tradizionale (un cosiddetto traditional knowledge) di adduzione dell’acqua, un’irrigazione di precisione che trae origine dalla cultura araba. Nel sottosuolo è stato realizzato anche un moderno impianto di sub-irrigazione che rende più efficiente l’uso dell’acqua e riduce l’impiego di manodopera. Ogni anno i solchi di tutte le canalette in terra battuta che circondano gli agrumi vengono riscavati dai giardinieri del FAI, mantenendo sempre efficiente questo antico sistema. L’acqua che ancora sgorga da questi acquedotti feaci permette così l’irrigazione dell’agrumeto ripartito in ampi terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, con le sue oltre 300 varietà di agrumi, degli ulivi, dell’orto e dell’area coltivata a rotazione a grano e delle fave sotto il grande ulivo secolare.
Inoltre, il FAI è recentemente intervenuto insieme al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi rendendo visitabile l’antico percorso ipogeo di Porta V, parte del ricchissimo patrimonio sotterraneo di Agrigento.
Il ripristino del ciclo idrico è stato propedeutico al recupero della storia colturale del Giardino. Per contrastare la perdita di biodiversità e la compromissione degli ecosistemi naturali che minacciano l’isola, anche a causa del rischio di desertificazione, sono state recuperate tutte le varietà genetiche botaniche che anticamente erano presenti: specie che, in gran parte, non vengono più coltivate nei sistemi frutticoli moderni e che invece erano state selezionate perché idonee all’ambiente colturale del giardino, resistenti alle avversità, dotate di caratteri nutrizionali e qualitativi rispondenti alle necessità degli antichi agricoltori. Più c’è varietà genetica in agricoltura, più aumenta le possibilità di accrescere la resilienza delle coltivazioni agli effetti dei cambiamenti climatici.
Nelle zone più scoscese, le piante della macchia mediterranea, limoni, mandarini e aranci, antiche varietà di gelsi, carrubi, fichi d’India, mandorli e giganteschi olivi “saraceni” e numerose altre specie da frutto, sono presenti a testimonianza oggi di un’elevata biodiversità specifica: azzeruolo, banano, carrubo, cotogno, fico, fico d’india, gelso bianco, gelso nero, kaki, melograno, nespolo del Giappone, nespolo d’inverno, pistacchio, sorbo.
L’abbandono di questo giardino ha celato per decenni una lunga storia produttiva fondata sulla fertilità del suolo alluvionale, sull’abbondanza delle acque e su un microclima che le pareti di calcarenite assicurano mite per l’intero anno.
Oggi, grazie a FAI, il Giardino è un piccolo paradiso terrestre, una totale delizia per i cinque sensi: dal profumo delle zagare al sapore delle mandorle, dall’argento degli ulivi all’umido della terra, al lieve rumore di sottofondo dell’acqua che è tornata a scorrere costante, in un’isola del Mediterraneo sempre più assetata a causa dell’emergenza climatica.
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