08 luglio 2020
C’è chi ha paragonato le virulenze storiche della peste all’attuale pandemia e questo in minima parte può anche essere vero. Ma mai come oggi emerge chiara la responsabilità di un’umanità che ha premuto e preme sui confini più remoti della natura, distruggendone gli ecosistemi e aumentando così esponenzialmente la probabilità di passaggio tra un virus e l’homo sapiens.
La pandemia generata dal Covid-19 ha messo in grande evidenza il bisogno di ritrovare un corretto equilibrio tra Uomo e Ambiente. Ci ha fatto capire quanto siamo vulnerabili in un mondo globale, dentro un sistema naturale fuori equilibrio: assieme ai suoi doni più importanti come il cibo, l’acqua, il legname, la natura ci ha portato anche uno dei suoi peggiori servizi, la malattia.
Eppure da tempo era stato lanciato l’allarme, completamente inascoltato. È possibile che questa esperienza, pur essendo ancora in emergenza Coronavirus, ci servirà a imparare la lezione e rompere la serie di future pandemie? Come ci ricorda il World Economic Forum, ogni 4 mesi in media appare una nuova malattia infettiva nel mondo e nel 75% dei casi gli animali sono vettori, come è stato per il coronavirus con il pangolino. Continuare a deforestare gli ultimi polmoni verdi della terra o tollerare il commercio di animali vivi nei wet market ci metterà sempre più a rischio. E così anche l’esposizione crescente ai virus immagazzinati nel permafrost o nelle calotte polari, che si fondono per le crescenti temperature conseguenti al riscaldamento globale.
Siamo da tempo usciti da una sintonia che dovrebbe invece essere al centro dell’agenda quotidiana, sia politica che economica, culturale e sociale.
Ci siamo accorti tutti di come durante il lockdown gli animali si sono presi alcuni nostri spazi, come i cieli del mondo erano più puliti, c’era più silenzio in strada. La questione ora non è quella di misurare questo fenomeno, ma di trovare vie nuove per tornare a vivere garantendo questi standard di qualità ambientale, che solo per qualche giorno abbiamo apprezzato. Qualcuno ha detto:
“La terra respira quando noi non respiriamo; dobbiamo ora riuscire a tornare a respirare in sincrono con il pianeta”.
Tornare in contatto con la Natura quindi, prendere consapevolezza delle grandi bellezze attorno a noi, così come dei problemi e delle distorsioni che la specie umana ha prodotto. Le Giornate FAI all’aperto e le Sere FAI d’Estate sono una bella opportunità per sperimentare l’equazione ambiente=salute che troppo spesso non riusciamo a risolvere. I giardini, i parchi, le aree naturali e paesaggistiche dentro e fuori i nostri Beni sono il vettore (questa volta in senso positivo) per rientrare in «contatto» con la Natura, attraverso l’incontro con le piccole e grandi bellezze, gli alberi, i fiori, le api, le farfalle, le lucciole, gli uccelli, i mammiferi, i pesci. Una visita ai nostri Beni può offrire un modo per godere della bellezza del Creato e allo stesso tempo essere l’occasione per apprendere, riflettere e prendere consapevolezza della loro importanza. Osservare la biodiversità in tutte le sue forme, è spesso anche un modo di «leggere» importanti indicatori ambientali che ci dicono se un sistema, un ambiente, un territorio è sano o inquinato; le lucciole, le farfalle, le api ad esempio, con la loro presenza o meno ci indicano se questo equilibrio è sano o se lo abbiamo stravolto.
Oltretutto vedere, ascoltare, annusare, osservare, studiare o anche solo godere di queste bellezze è una forma di «cura» del corpo e dello spirito, quindi della nostra salute. I Beni FAI, da scrigni di storia e cultura diventano anche punti di osservazione e studio, punti di «incontro» con quell’ambiente che forse abbiamo trascurato e degradato. Un piccolo esempio concentrato di come titoli, parole, slogan come #FridayforFuture, Green New Deal, Obiettivi Sostenibilità 2030, Agenda Verde ed Economia Sostenibile diventino realtà concreta e tangibile, misurabile e visitabile. Un equilibrio ritrovato.
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