25 novembre 2015
Non sempre i lavori per il recupero di un bene seguono dei percorsi chiari e definiti. A volte, per esempio, capita che si scopra più di quanto ci si aspettava: è questo il felice caso del Lazzaretto di Verona, che il FAI ha ricevuto in concessione per 18 anni dal comune della città nel luglio 2014.
Tre le fasi di lavoro, già avviate o in corso, concordate nel protocollo di intesa per riqualificare il complesso monumentale del Lazzaretto, posto su un'ansa della riva destra del fiume Adige all'interno dell'omonimo parco appena fuori Verona: la pulizia dell'area verde, la bonifica bellica e la riqualificazione finale. Si è, quindi, proceduto con il riordino della vegetazione in modo da ricreare l'area centrale del Lazzaretto che un tempo era suddivisa in quattro lotti.
Successivamente, metal detector alla mano, si è proceduto alla bonifica bellica rilevando su tutta l'area le possibili presenze ferrose ma, poiché il Lazzaretto è stato per decenni una discarica abusiva, di segnali se ne sono individuati fin troppi! Per capire meglio dove intervenire si è scelto, quindi, di focalizzarsi su una zona da ripulire: sono stati condotti degli scavi fino alla quota originale del terreno del lazzaretto, spostando 1.300 metri cubi di terreno, e, inaspettatamente, si sono trovate delle celle, mantenute quasi integre, e dei camminamenti originali del 1600. Tra i ritrovamenti del materiale bellico, filo spinato, proiettili e…ben 10 bombe inesplose che hanno richiesto l'intervento degli artificieri.
“Per chi ha già visto il Lazzaretto prima dei lavori adesso è già bello – ha dichiarato Clara Bianchi, referente tecnico del FAI per il coordinamento del progetto – perché è possibile vedere molte più celle, il camminamento che non si era mai pensato che ci fosse e la maestosità dei muri in tutta la loro altezza”. Una scoperta importante che riguarda solo un quarto del perimetro della struttura e che rende ancora più urgente la necessità di raccogliere ulteriori fondi per completare i lavori di sondaggio nelle altre zone così da svelare agli occhi dei futuri visitatori com'era una volta uno dei lazzaretti più grandi d'Italia.
Inizialmente il progetto era volto al recupero e alla riqualificazione dell'area verde ma, alla luce delle ultime scoperte, siamo ora in una fase di ridefinizione del progetto che rivaluti il Lazzaretto come fulcro della zona circostante così da restituire alla città un'area da vivere per un tempo libero di qualità tra cultura e natura. E', infatti, in programma la realizzazione di una passerella ciclo-pedonale, disegnata da Michele De Lucchi, per collegare il Lazzaretto con la riva opposta dell'Adige dove si trova Villa Bernini Buri, dimora storica, in sintonia con il progetto del Comune di Verona di sviluppo di un piano ciclopedonale in città. Fondamentale, quindi, raccogliere fondi per completare i lavori così da far emergere tutto il Lazzaretto e raccontarlo attraverso visite guidate ai visitatori.
La costruzione del Lazzaretto inizia nel 1549 ma prosegue per molti decenni, le celle sono infatti databili a fine Seicento. Dai tempi dell'epidemia di peste a Verona (1630), quando ospitò fino a 5mila ammalati, sino ad oggi la struttura rivestì diverse funzioni, come il ricovero dei soldati degli eserciti austriaci e francesi colpiti da malattie contagiose, nel Settecento, e il deposito di armi belliche durante la seconda guerra mondiale. Fu nel 1945 che una scintilla causò uno scoppio improvviso danneggiando parte dell'edificio, ne seguì un lungo periodo di degrado sino ai giorni nostri in cui si sta lavorando per riportare alla luce questo luogo così ricco di storia.
La Liguria, come purtroppo molte altre parti del nostro Paese, è tristemente nota per danni dovuti al dissesto idrogeologico. Per questo il FAI ha sottoscritto, il 10 novembre scorso, un Protocollo d'Intesa con il Comune di Camogli per realizzare interventi atti a mitigare e risolvere le criticità geomorfologiche e idrogeologiche su un territorio molto fragile come il Monte di Portofino, ai cui piedi si trova l'Abbazia di San Fruttuoso, luogo di cui il FAI si prende cura dal 1983, anno della donazione.
Questo accordo rappresenta un ottimo esempio di sinergia tra pubblico e privato per il raggiungimento di un obiettivo comune e potrebbe diventare un modello da estendere anche ad altri beni della Fondazione coerentemente con l'obiettivo di renderli sempre più “fulcri” dei sistemi territoriali di cui fanno parte.
Il FAI, consapevole che la frammentazione delle iniziative indebolisce l'efficacia degli interventi, ha chiesto e ottenuto dal Comune di Camogli di concordare una programmazione congiunta attraverso la stesura, commissionata a un gruppo di professionisti del settore, di un progetto definitivo complessivo comprendente la totalità degli interventi ritenuti necessari. Contestualmente, i professionisti incaricati e i tecnici del FAI verificano lo stato di avanzamento del progetto. Saranno poi FAI e Comune di Camogli ad attivarsi, ciascuno con i propri canali, per la raccolta dei fondi necessari alla realizzazione degli interventi.
Allo stato attuale sono quindi al lavoro, tra sopralluoghi, raccolta dati e studi di approfondimento, geologi, ingegneri idraulici, architetti del paesaggio, rilevatori e topografi.
Valerano di Saluzzo della Manta fu il marchese reggente sotto al quale l'omonimo castello in provincia di Cuneo raggiunse il massimo splendore. Risale a quel periodo (1416 – 1426), infatti, la realizzazione del Salone Baronale e della Cappella, che, essendo richiesti dallo stesso committente e in epoca coeva, furono decorati con lo stesso stile ad opera di maestranze locali.
Distante pochi metri dalla dimora la Chiesa di Santa Maria al Castello, ampliamento dell'antica Cappella di Valerano, rappresenta anch'essa un'importante testimonianza dell'arte di quel periodo a Manta. L'intervento del FAI ha riguardato la facciata, caratterizzata da elementi decorativi rinascimentali, già restaurata nel 2000 ma che presentava alcuni segni di degrado come alterazioni cromatiche, patine biologiche e forti depositi. Si è, quindi, proceduto con una pulitura dei depositi superficiali, un'intonazione cromatica per dare uniformità alla facciata e il consolidamento di piccole erosioni.
Grazie al restauro la facciata e l'affresco nella lunetta dedicato alla Madonna si presentano oggi come dopo l'intervento del 2000, con la stessa uniformità di forme e colori. Viene così mantenuto e restituito alla collettività un bene del patrimonio locale. Il FAI, infatti, ha ricevuto la chiesa in concessione per 99 anni con lo scopo di recuperare e rafforzare quel legame con il vicino castello e con il paese che questo edificio aveva fino al ‘500 in qualità di parrocchiale della comunità.
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