21 gennaio 2021
Qualche settimana fa avevamo sostenuto con forza l’esigenza di un Cultural Recovery Plan, cioè un piano capace di porre la cultura quale asse strategico della rinascita dell’Italia. Non un orpello, un’appendice, un settore separato dal resto, ma uno dei filoni trasversali in grado di contribuire realmente alla progettazione e alla realizzazione di un nuovo modello di sviluppo.
Una sfida certamente non facile, ma straordinariamente innovativa, che implicherebbe una diversa visione del ruolo sia della conoscenza, formazione, tutela, valorizzazione, comunicazione, gestione dell’enorme patrimonio culturale italiano, sia delle competenze e delle professioni della cultura, sia, infine, dello straordinario patrimonio di passioni, sensibilità, capacità presenti nella società italiana, a partire dall’associazionismo e dal mondo del terzo settore.
Da alcuni giorni è stata resa nota la bozza elaborata dal Governo del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (quest’ultima parola fin troppo abusata), che, almeno formalmente, è stata la causa scatenante della crisi politica. Si comincia, pertanto, a intravvedere un abbozzo del disegno complessivo. Un disegno che contiene spunti interessanti, fatto di luci e ombre, ma sul quale pesa ancora una certa indeterminatezza, e che necessiterà di definizioni molto più puntuali di obiettivi, procedure, tempi, modalità di verifica e monitoraggio. Se, infatti, la parola cultura è alquanto frequente nel Piano (compare in 35 pagine sulle oltre 160) non pare ancora ben declinata la struttura degli interventi previsti.
Tra le linee progettuali dedicate a “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, un capitolo riguarda “Turismo e cultura 4.0”.
Gli obiettivi dichiarati sono ambiziosi e ampiamente condivisibili: si va dall’incremento dell’attrattività del Paese alla rigenerazione dei borghi e delle periferie, dalla promozione della partecipazione alla cultura allo sviluppo del turismo sostenibile, dal restauro dei luoghi di culto e del patrimonio storico-architettonico al potenziamento delle strutture ricettive e alla interazione tra scuola, università impresa e cultura, fino a due progetti specifici, uno denominato “Caput mundi”, dedicato a Roma, l’altro, “Percorsi nella Storia”, relativo ai borghi, alle aree rurali, alle periferie e ai piccoli centri, con forme di turismo lento e di prossimità.
La prima considerazione non può che essere relativa alla stretta relazione tra turismo e cultura: un legame naturale per un Paese come l’Italia, ma che forse non esaurisce tutte le potenzialità del patrimonio e delle attività culturali anche in termini di crescita civile e socio-economica.
Senz’altro positivo è l’esplicito riferimento alla Convenzione di Faro e alla necessità di “promuovere approcci integrati e partecipativi al fine di generare benefici nei quattro pilastri dello sviluppo sostenibile: l’economia, la diversità culturale, la società e l’ambiente”.
Diamo ora un’occhiata ai numeri. Le risorse previste sono significative (8 miliardi, cui si aggiungono 300 milioni dai PON): sono quasi raddoppiate rispetto alle prime versioni, ma paiono ancora insufficienti rispetto agli obiettivi indicati.
Alla sezione denominata “Patrimonio culturale Next Generation” si riservano 2,7 mld, di cui 1,10 per i grandi attrattori turistico-culturali, 0,5 per la digitalizzazione, 0,30 per il miglioramento dell’accessibilità fisica, 0,5 per Roma e 0,30 per Cinecittà. La sezione “Siti minori, aree rurali e periferie” conquista 2,40 mld, così ripartiti: 1 al Piano Nazionale Borghi, 0,50 al patrimonio storico rurale, 0,40 a periferie e parchi e giardini storici, 0,40 alla sicurezza antisismica delle chiese. Una quota maggiore, di ben 2,90 mld, va a “Turismo e Cultura 4.0”, divisi in formazione turistica e diffusione culturale nelle scuole (0,40), transizione green e digitale nel turismo (0,50), “Percorsi nella Storia” e “Turismo lento” (0,50) e, infine, miglioramento delle infrastrutture turistiche e ricettive (1,5).
Fin qui le cifre. Lo ripetiamo, si tratta di somme significative, di gran lunga maggiori di quelle destinate negli ultimi anni, e altre risorse potranno venire forse indirettamente da altri capitoli, ma rappresentano ancora una percentuale ridotta rispetto all’importo complessivo del piano Next Generation EU (223,91 mld), pari al 3,57%, e ancora meno rispetto alle risorse messe in campo complessivamente anche attraverso altri canali (311.86 mld).
Attendiamo ora di conoscere meglio i dettagli dei vari interventi per potere esprimere una valutazione più matura e approfondita, con la speranza che si vogliano coinvolgere già in questa fase, nonostante i tempi oramai sempre più stretti, tutte le forze migliori della società italiana. Il FAI è pronto.
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