Conservazione “a braccia aperte” e decentrata: la lezione di Simon Murray

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Conservazione “a braccia aperte” e decentrata: la lezione di Simon Murray
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14 febbraio 2017

“Going local”, “freedom in a framework”, decentramento delle responsabilità, istruzione e provocazione. Questi solo alcuni dei concetti emersi durante la recente visita di Simon Murray, Deputy General Director del National Trust: leggi il racconto e le riflessioni del Presidente del FAI, Andrea Carandini

Il 10 febbraio di quest’anno è venuto a Milano, nostro ospite, Simon Murray, Deputy General Director dell’inglese National Trust. Questo number two del Trust è stato il manager che ha attuato, fin dai tempi della direzione di Fiona Reynolds, la riforma organizzativa che ha portato al NT oltre tre milioni di iscritti in più: sorprendente miracolo! Dovendo il FAI varare il secondo piano operativo triennale del proprio piano strategico, ha chiesto a Murray un consulenza che lui generosamente sta offrendo. Sono previsti altri due incontri prima dell’estate. Sorprendente è stata la lezione che ha tenuto alla Cavallerizza davanti a una folta platea, a rappresentanza di tutte le funzioni e le competenze del FAI.

La conservazione dei beni più elevati e di quelli più modesti (pubs, case popolari, villaggi) è diventata “a braccia aperte”, for the people.Tra il 1945 e il 1975 gli inglesi non amavano il loro patrimonio: centinaia di case e importanti dimore sono andate distrutte al tempo dei Beatles e delle prime minigonne. Da metà anni 70 si è avuta una prima reazione con la conservazione severa e altezzosa del Trust e in seguito, con il nuovo secolo e dopo aver rasentato la bancarotta nel 2003, il grande passo in avanti:  la conservazione “a braccia aperte”. Si è trattato di indurre il popolo britannico alla scoperta dei suoi paesaggi e del suo patrimonio, a partire dai bambini. Da qui, ad esempio, le “50 cose da fare prima degli 11 anni e ¾”: la prima iniziazione alla vita adulta dei nostri tempi.Uscire di casa e scoprire il mondo oltre il cinema, la televisione, i computers e i cellulari, usando bene del tempo libero, ricollegando la gente con i luoghi speciali, anche quelli non del Trust e lottando per la bellezza (cfr. F. Reynolds, “A fight for beauty”).

Il must è essere relevant, cioè sempre a contatto con le persone, capendone i nuovi gusti, adattandosi ai bisogni della gente ma anche facendo scoprire desideri e gusti latenti rendendoli finalmente consapevoli: riappropriarsi della natura e della storia, ma a partire da racconti delle persone per giungere solo dopo anche alle cose, e non viceversa come generalmente avviene.Le persone di oggi non hanno più la preparazione di alto livello dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. A esse e soprattutto ai giovani manca oramai quella conoscenza dei contesti che consente loro di classificare e apprezzare qualsiasi oggetto, capendone il senso storico. Ragion per cui oggi non bisogna annoiare propinando troppa informazione all’inizio, bensì dosandola in pochi minuti, variandola e spargendola, come si fa in un romanzo, in cui tutto affiora poco alla volta, al momento giusto e molte cose vengono celate perché possano sorprendere quando finalmente vengono rivelate.Se ne deduce che non ha senso immaginare popoli più e meno predisposti alla natura e all’eredità degli avi. Si tratta sempre di bisogni indotti dall’educazione e dalla promozione. Quindi tutti possono cambiare e migliorare.

Con la ripresa dopo il 2003 l’organizzazione del National Trust è stata capovolta: da centralistica e burocratica che era a una organizzazione “buttom up” dove al primo posto stanno i managers o gestori di un grande luogo o di un gruppetto di luoghi minori, i quali s’identificano con la proprietà e la comunità locale, per lo più una città medio-piccola nei pressi della quale si trovano i beni.   Il manager locale è il responsabile del sito ed è molto bene retribuito, ha un suo budget e su di lui è caricata l’autorità. Deve stendere un piano strategico novennale, fatto di tre successivi piani operativi, steso d’intesa con le funzioni che stanno sopra di lui a livello regionale e centrale, dove risiedono i saperi più specialistici. La sua libertà è limitata dalla cornice di regole e dalle competenze nella conservazione, nella valorizzazione e nella soddisfazione dei visitatori, competenze che si trovano a livello regionale e centrale e sempre al servizio dei managers locali. Così ogni bene importante o ogni gruppetto di beni minori vengono gestiti come una piccola azienda autonoma, all’interno di linee guida e competenze che stanno ai livelli superiori in competenza ma non in autorità. Quindi è un solo individuo a dover prendere le decisioni ottenendo il consenso. Se dovessero invece decidere più menti, tutto correrebbe il rischio d’impantanarsi nel fango delle autorizzazioni, portando alla stasi.

La riforma è stata sperimentata per qualche anno su 40 dimore delle 350 proprietà del Trust, valutando attentamente le capacità del personale, liberando le risorse inadatte alla nuova strategia e assumendone di adatte a promuovere la riforma, per sensibilità e capacità di gestione. Il decentramento ha portato dinamismo, successo e anche qualche errore, prima da tollerare con un grande sospiro e poi da evitare con la persuasione ma non con l’imposizione, ché altrimenti si scalza quell’autorità allocata alla base. Il manager regionale ha l’autorità di scegliere, dirigere ed eventualmente sostituire il manager locale, se il suo lavoro non soddisfa o non porta risultati. Il manager centrale ha l’autorità di scegliere, dirigere ed eventualmente sostituire il manager regionale, se individua problemi nella gestione delle proprietà.

I luoghi non sono da visitare una sola volta, come fossero mete turistiche, ma rappresentano una risorsa del luogo a cui la comunità locale ricorre settimanalmente - l’iscrizione equivale a tre ingressi - grazie a un calendario di piccoli e frequenti eventi  di cui si occupa il Program Manager evitando la droga dei grandi eventi, che tolgono l’attenzione sui beni nel resto del tempo. Nel bene, o nell’insieme di beni, operano anche un Visitor’s Experience Manager, un Curator e l’House Manager. Obiettivo è l’iscrizione e non il biglietto d’ingresso al bene o all’evento, con un incentivo garantito da questa semplice leva: ogni volta che l’iscritto ritorna nel bene la sede centrale riconosce 3,5 sterline al bene.

Le case sono amate ma da meno di un quarto dei visitatori. La maggior parte preferisce le attività nei giardini e nei parchi, gli outdoors, e nel giardino è spesso presente il Greedy Pig, un caravan che vende cibi e bibite adatti ai bambini. I servizi come i ristori vanno collocati dove sta la gente: vicini, comodi, essenziali. Il criterio non è soltanto estetico ma soprattutto funzionale.

Il Trust fa notevoli utili da reinvestire e che ricava sia dalle 4.900.000 iscrizioni (ottenute metà nei beni e metà online) che dalle attività di bookshops, ristoranti, etc., direttamente e centralmente. I “Second-hand Bookshops” sono molto profittevoli: gestiti da volontari, alimentati gratis da donazioni e lasciti e adatti ad essere allestiti negli spazi originali delle case. Dei volontari solo un terzo opera negli ambienti, mentre il resto agisce all’aperto.

Secondo Murray, non basta più istruire: occorre “provocare” a pensare comprendendo immediatamente l’essenza di un luogo grazie ad un’esca sintetica e significativa capace di innescare curiosità e coinvolgimento, di aprire la strada al sapere senza intimidire con noia altezzosa. Un luogo deve coinvolgere come un racconto, evitando lunghe premesse e digressioni e andando diritto al punto principale, poi da considerare in modo vario e da diversi punti di vista.

I beni devono accogliere e ispirare. L’introduzione deve trasmettere in modo rapido, sinteticissimo e diretto il significato del luogo e del suo valore. Ad esempio nel Castello e Parco di Masino comunicare il senso di “una dimora regale ma di campagna, abitata per quasi mille anni dalla stessa famiglia, i Valperga”. Questo contenuto, essenziale per orientare il visitatore, deve essere “consegnato” all’inizio della visita, tramite una persona, un video, un cartello, etc. Poi il pubblico deve essere libero di aggirarsi negli spazi - free flow - come “avventurandosi in una esplorazione personale”, alla scoperta di ciò che attrarrà la sua attenzione, più o meno guidata e favorita da strumenti e allestimenti che mettano in evidenza contenuti selezionati. Una visita libera è più soddisfacente di una strettamente guidata, anche se quest’ultima è più lunga e ricca di contenuti. In ogni stanza o gruppo di stanze può esserci un piantone volontario a controllo, oppure la video sorveglianza. E’ meglio chiudere alcune stanze, ridurre la quantità e migliorare la qualità, così come ridurre gli accessi dall’esterno e creare un libero flusso circolare, facilmente controllabile.

E’ preferibile poi dividere gli ambiti di visita a seconda dei diversi contenuti, rendendoli così più facilmente comprensibili. Per esempio al Castello di Masino: il nucleo medievale, l’appartamento cinese, le stanze della servitù, l’appartamento più recente, la torretta panoramica... I diversi settori, con i loro diversi contenuti variano e moltiplicano l’offerta e consentono un flusso di visitatori maggiore, distribuito contemporaneamente in settori diversi.  Dividere per settori e contenuti diversi facilita l’uso di strumenti e linguaggi appropriati, diretti a colpire target diversi; favorisce inoltre un approccio sperimentale, perché gli allestimenti saranno più contenuti, meno radicali, costosi e definitivi, soggetti a variazioni e ad aggiunte in relazione al riscontro del pubblico o a nuove strategie. Sono da limitare strumentazioni e allestimenti troppo tecnologici, perché costano troppo, invecchiano rapidamente e non rispondono alla strategia, che mira a innescare forme di apprendimento e di fruizione più “a misura d’uomo” e soprattutto diverse da quelle che riempiono già la nostra vita quotidiana (cellulari, video, etc...).

Meglio iniziare il racconto di una proprietà dalla storia recente, più riconoscibile, e addentrarsi poi nel passato, piuttosto che il contrario. Chiedersi perché questo posto ha un valore nel passato e perché dovrebbe averlo nel presente. L’obiettivo è cambiare, attraverso la conoscenza del passato, lo sguardo sul presente e sul futuro.A esempio non concentrarsi sulla sala da pranzo con tavolo di mogano, argenti sopra e quadri di antenati alle pareti, ma magari raccontare l’ultimo grande proprietario, un aristocratico inglese dai trascorsi filo-nazisti... Quindi anche storie scabrose, come anche l’omosessualità femminile e maschile dei proprietari di Sissinghurst nel Kent. In questo senso bisogna provare, sbagliare, riprovare correggendosi e riuscire, anche in sintonia con quello di cui la nazione discute in un determinato momento. Attenzione quindi anche a ciò che avviene a latere. Perché una storia valga deve interessare un ragazzo di 17 anni, e così la prova è fatta. Innovazione e flessibilità sono le chiavi di una proposta sempre dinamica, in ascolto del presente, che traduce il passato in presente e crea connessioni tra passato e presente, tra ambiente e cultura, perché l’apprendimento scaturisca spontaneo, indotto e non impartito. Non conviene investire denari in beni con piccolo potenziale di visite, o quantomeno è secondario. Favorire l’acquisizione di “beni di terra”, dove mettere in pratica politiche e pratiche per un nuovo pragmatico ambientalismo e dove avvicinare soprattutto i bambini al contatto diretto con la natura: i bambini che vanno in ospedale perché cadono dal letto sono tre volte più numerosi di quelli che cadono da un albero…

Il Trust non vuole formare oasi belle nelle quali rifugiarsi dalle brutture. Vuole introdurre bellezza anche nei luoghi decaduti e imbruttiti, aiutando le comunità del circondario a migliorarli. Il Trust ha molti più iscritti di qualsiasi partito inglese e per questo conta moltissimo in Gran Bretagna e ha sovente la meglio in importanti battaglie, sulla pianificazione territoriale e sui limiti da dare delle città, sulla salvaguardia dei boschi, delle campagne, delle coste (un terzo di proprietà del Trust), della natura e della storia. Il tutto considerato come un insieme, come già era chiaro nella missione iniziale del Trust, alla fine dell’800.

Andrea Carandini, Presidente del FAI

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