09 luglio 2015
Il presidente del FAI Andrea Carandini interviene nel dibattito sull'Enciclica di Papa Francesco aperto dall'economista Marco Vitale.
La lettera enciclica Laudato si' di Francesco Vescovo di Roma sulla Cura della casa comune è un testo circolare che rappresenta anche un evento. Nessuna altra potenza, per quanto grande, è oggi in grado di appellarsi all'umanità e al pianeta, su questioni terrene, mossa da uno spirito così intensamente ricompositivo e universale.
Roma è stata nell'antichità, non soltanto una sentina di brame e vizi, ma anche la sede del diritto uguale e poi dei principes che per secoli hanno dato forma a un mondo. Seppure rifugiato nell'appartamentino di Santa Marta, Papa Francesco è come se parlasse urbi et orbi dalla loggia di San Pietro o dalla finestra del Palazzo. “Palazzo” rimanda a Palatium, cioè al Palatino, il monte dove Augusto aveva casa e da dove governava la terra.
Il primato di Roma rimane oggi soprattutto in ciò: fra tante potenze spirituali acefale e variegate, sovente in contrasto e in guerra tra loro, solo il Vescovo di Roma è in grado di rivolgersi plausibilmente al globo intero su questioni celesti e terrestri. Ai piedi di Francesco c'è il popolo accorso in Piazza San Pietro; simile in ciò ad Augusto che affacciato alla loggia del suo palazzo aveva ai suoi piedi la plebe accorsa nel Circo.
È così accaduto che dal Vaticano Francesco ha rivolto la sua enciclica ecologica e sociale a ogni persona del pianeta, inaugurando un dialogo con tutti su questo nostro mondo. È una enciclica nuova, ma emanata da un soglio antico, che può essere valutata sia in termini religiosi che terreni.
Sono un archeologo e il presidente del Fondo Ambiente Italiano e come tale non posso non rispondere all'appello del Papa. Prima, proprio perché l'archeologo, che tutto incontra scavando, del tutto sempre si preoccupa, dando valore sia al Colosseo e sia a ossa, lische e noccioli contenuti in una sua fogna, per cui ha un forte senso del contesto… Poi, perché il presidente FAI intende l'ambiente non come una natura preminente e contrapposta alla cultura, ma come il solo in grado di comprendere insieme natura, paesaggio e patrimonio storico e artistico, come la Costituzione italiana prevede e impone di tutelare e promuovere e che l'Enciclica assume come idea unitaria e onnicomprensiva, lontano da qualsiasi naturalistica unilateralità.
Per un agnostico e un laico quale sono sarebbe impossibile misurarsi con un potere incentrato ancora su triregno, flabelli e sedia gestatoria, anche se ridotto alla sfera spirituale. Ma i rutilanti simboli della potenza ecclesiale sono da tempo caduti e infine è stato eletto Papa Francesco, primo ad apparire alla folla come semplice Vescovo di Roma, spoglio nella casa, nell'abito, nelle parole e nei gesti, erede di una potenza bimillenaria ma elevatosi a padre soprattutto dei poveri e del pianeta malato.
Gesù era uscito una sola volta dalla Palestina. Invece gli apostoli hanno raggiunto la fine del mondo di allora: la Spagna e forse perfino l'India. Il Vescovo Francesco, seguendo Francesco di Assisi - primo ad abbracciare il creato come fratello, al pari del saggio indiano che si preoccupa del minimo insetto - ha preso il nome del santo proprio perché si proponeva di curare le maggiori fragilità terrene e umane.
L'Enciclica edita a Roma guarda al globo non dagli splendori accumulati sopra la tomba di Pietro ma dalle periferie miserrime dell'America latina, che rappresentano l'ultimo confine, la fine del mondo del tempo nostro. Nulla di romano, d'italiano e di europeo in questo sguardo universale, consentito da Roma, ma che si oppone alla Roma dei re, dei consoli, dei principi e forse anche degli stessi sovrani del potere temporale pontificio, nelle cui stanze l'ultimo vescovo ha rifiutato di abitare, per tornare a imitare il falegname di Nazareth, messia e figlio di Dio.
Come in una carta antica in cui i continenti sono separati da poco mare per farli entrare in un rotolo unico, il mondo visto da Papa Francesco appare interconnesso, perché tutto include tutto in una reticolare contestualità. Il Pontefice si scaglia contro le potenze finanziarie che hanno saccheggiato la terra, specie dove più intenso è stato lo sviluppo, degradando la vita umana anche nelle parti meno sviluppate del pianeta. È accaduto per millenni che il dominio andasse congiunto, almeno, con qualità e bellezze che ancora oggi ammiriamo, in una natura coltivata come un giardino - Italia tota pomarium, diceva Varrone - circondata da boschi che l'esercito romano aveva difficoltà ad attraversare. Ma poi, col diffondersi dell'industrialismo, utilità ed estetica si sono separate e ha prevalso la quantità sulla qualità, la voracità sulla felicità, la scienza e la tecnica sui bisogni della vita, in una misura che il mondo mai aveva prima conosciuto. I disastri naturali sempre più catastrofici e la rovina di testimonianze di civiltà hanno mostrato che le potenze del globo hanno agito anche ai danni della stessa umanità. Già i nostri cugini di Neanderthal sono scomparsi e una sorte analoga potrebbe toccare all'homo sapiens, visto che ha perso ormai il senso della specie e del pianeta.
Francesco si appella a tutti e a tutto. Promuove una conversione in grado di generare una nuova universale solidarietà. Riuscirà questa idealità tanto autorevole ad accendere e riorientare le potenze terrestri alquanto indifferenti? Il Papa ha venti secoli dietro a sé e altrettanti davanti, in una lungimiranza profetica e storica che si oppone all'immediatezza dei consumi avidi e insaziabili che in poche generazioni hanno sbaragliato plaghe intere di natura e di civiltà, in uno sfruttamento che ha giovato soltanto a pochi. Così i ritmi lenti della natura, che un tempo si armonizzavano con quelli seppure più veloci delle civiltà (l'anno di dieci mesi della prima Roma corrispondeva al tempo della gestazione umana), sono stati travolti infine dall'accelerazione economica soprattutto degli ultimi due secoli, che hanno trascinato nel vortice la terra stessa, abbandonata, saccheggiata e maltrattata...
La cultura, che la religione un tempo aiutava a religare, cioè a collegare, si è specializzata, per crescere più speditamente, soprattutto nelle scienze e nelle tecniche, perdendo ogni senso delle relazioni contestuali. Risolvendo settorialmente i problemi, non si è fatto che crearne di ulteriori. La natura segue un modello circolare capace di auto-generarsi, ma in ciò le civiltà non hanno saputo imitarla, progredendo grazie a rapine. La totalità di visione delle grandi religioni, che avevano composto comunitariamente il mondo, non è stata più recuperata ed è questa frammentarietà unilaterale che Papa Francesco denuncia. È come se gli dèi oppure il Dio fossero riusciti in ciò che l'uomo ha smarrito, perché per divinizzare se medesimo ha scomposto le forze per dominarle, smarrendo lo spirito del tutto.
Papa Francesco promuove un ritorno anche alla sintesi, al legare tutto con tutto, ma in modo insolito. Chiama questo ritorno una rivoluzione spirituale, morale e culturale. Infatti le rivoluzioni sociali generalmente accelerano la storia, mentre quella culturale da lui proposta si propone invece di rallentare l'accelerazione, dove ha raggiunto il parossismo, per ritrovare un modo di vivere capace di auto-sostenersi, fondandosi su quei valori e fini che una sfrenatezza esagerata ha fatto dimenticare, trasformando i mezzi in fini.
La prima accelerazione da moderare è quella che è stata scatenata dalla Modernità, la grande accusata, perché ha posto l'uomo al centro del globo e ha sviluppato l'individuo a danno dei legami solidali (ma ha fatto solo questo?). Si è trattato di una frenesia in origine Occidentale, che ha pervaso in seguito mercati e tecnologie dell'intero mondo (senza importare tuttavia i costumi politici costituzionali europei e angloamericani). Fino dal Rinascimento l'uomo appare nella pittura in primo piano, come protagonista, con una natura domata sullo sfondo, intravista magari da una loggia. Nella pittura tradizionale cinese, al contrario, è la natura a dominare incontaminata e solamente in un angolino si intravedono due o più uomini, piccolissimi, annegati e superstiti in quell'insieme terrestre e vegetativo.
È il contrasto tra l'individualismo sorgente e un comunitarismo incrollabile. Ma oggi i grattacieli delle città cinesi non rimandano più alla loro grande pittura, perché Il sogno prometeico di dominio si è propagato fino all'Oriente estremo e quindi ovunque (anche se la liberal-democrazia e i diritti individuali e umani non sono andati oltre le sedi storiche li hanno inventati salvo poche grandi eccezioni). In ciò Papa Francesco appare anche molto occidentale, per il suo appellarsi più che ai comandamenti ai diritti umani, per cui anche lui pare riallacciarsi a una Roma antica riscoperta dalla modernità illuministica.
Riguardo alla rivoluzione culturale proposta, Papa Francesco non entra nel dettaglio. Sulle forme comunitarie e dittatoriali sorvola, mentre attacca l'individualismo romantico e il “privatismo” egoistico in cui facilmente ci riconosciamo. Invoca uno sviluppo umano sano e non malato, fecondo e non sterile, basato su un'amministrazione responsabile del globo e non su un dominio della terra in concorrenza con Dio. La proposta rimane sul piano generale, ma è inflessibile nel non separare l'ecologia dall'antropologia, per cui si colloca alla vetta di una problematica naturale e culturale globale. Infatti l'Enciclica è intitolata alla «casa comune», che racchiude inseparabilmente natura, umanità e cultura.
Secondo Papa Francesco, il creato di Dio può essere sviluppato dall'uomo, come in una seconda natura, ma l'uomo deve essere prudente nello svilupparsi, perché deve rispettare sia il creato divino sia quello umano, reinterpretandoli nel presente ma senza travolgerli. Infatti non è immaginabile frenare la creatività umana, ma se la tecnica continua a crescere scissa dall'etica non riuscirà a limitare il proprio incalcolabile potere, travolgendo ricchezze ecologiche e ricchezze di civiltà. La creatività che Papa Francesco promuove implica un'ottica integrale e lungimirante, che i politici di oggi, affannati sull'immediato, hanno perduto. Ciò presuppone modificare i modelli di sviluppo. La casa di cui si tratta non è una cornice architettonica: si tratta della terra, nella quale affondano le radici dell'umanità e sulla quale insistono le società attuali.
Per Papa Francesco esistono non tante crisi da risolvere, indipendenti l'una dall'altra e a cui porre riparo utilizzando i diversi specialismi, ma una crisi socio-ambientale unica di natura globale. La prospettiva dell'Enciclica richiama alla lontana quella di un regno di Dio in terra, generato però questa volta non più da un Gesù sceso dalle nuvole e che governa insieme agli apostoli ma dallo stesso legno storto dell'umanità, il che a un tempo apre alla speranza e a formidabili errori inerenti a ogni zelante eccesso verso la virtù, come quelli sperimentati quando si è voluto attuare un paradiso in terra forzando tutti al loro supposto bene deciso da un qualche dittatore.
Papa Francesco pensa a un progetto comune, internazionalmente condiviso, perché il mondo è uno. Pensa a un progetto di governance dei beni comuni globali da parte di un'autorità politica mondiale, attuata nella pace e capace di auto-generarsi, come fanno gli eco-sistemi, facile da sperare ma ardua da immaginare in concreto. In questa visione più che lungimirante, il tutto è decretato essere superiore alla parte, cioè alla singola civiltà, nazione o persona. Papa Francesco mira a innescare un processo grazie al quale politica, economia e tecnologia siano posti finalmente (ma da chi?) al servizio della qualità della vita, specialmente di quella umana.
Il progresso non viene da lui negato, se opportunamente ridefinito, nel senso che deve riuscire a incanalare le energie verso uno sviluppo sostenibile ed equo, provvedendo alle cure dell'uomo e della sua casa. Francesco non ammette compromessi tra il mondo moderno e quello da lui prospettato, perché la conservazione dell'ambiente e dell'umanità non può darsi conservando la vecchia maniera di progredire (neppure riformandola). La proposta è dunque ardita perché mira a redimere tutti e tutto in maniera radicale. Ma di una tale possibilità non abbiamo ancora esperienza né religiosa né sociale su questa terra, anzi la storia ci racconta il contrario congiurando l'uomo come una mistura di angelo e di demonio. Lo sviluppo ha sempre comportato una qualche naturale distruzione: il primo campo ha implicato il taglio di numerosi alberi lussureggianti, che i romani espiavano sacrificando un porco al dio offeso del luogo, e avanti di questo passo fino ai tempi di oggi.
Sommersi dai mezzi, gli uomini hanno smarrito i fini, che sono da ritrovare e da coniugare (ma sono compatibili?). Solo un risveglio universale delle coscienze, un rinnovo dei modi di pensare, e quindi una conversione globale sono in grado di riequilibrare il suddetto squilibrio, segnandone uno nuovo. La visione di Papa Francesco è di un'audacia incommensurabile che profila una speranza escatologica di generale salvezza, basata però tutta sulla persuasione e sulla pace, in una sorta di generale armonia, antico sogno dell'umanità pagana e cristiana (mentre mostruosi tribalismi fanno strage tra loro, come la carneficina nel teatro antico di Palmira, compiuta in nome di Dio).
La crisi del mondo attuale starebbe nel fatto che non vengono più accettati verità e principi oggettivi, stabili, indiscutibili e ovunque validi, perché ormai – fin dal Romanticismo - sono gli individui a determinare ciò che è bene e ciò che è male, sviluppando la libertà di scegliere i fini dettati dalla coscienza (già in seme nell'Ich stehe di Lutero).
Ne consegue, per il Pontefice, il prevalere dell'inconscio (solo un male?), dei bisogni smodati e dell'egoismo, in una prospettiva di crescita senza limite, che spreme al massimo individui e globo. Vediamo oramai solamente noi stessi, emancipati da tutto ciò che esiste al di fuori del nostro io. La tecnologia, controllata da gruppi di potere, si sviluppa e domina con la propria logica, senza accompagnarsi a coscienza, responsabilità e valori. Oltre il bene comune basato sul riconoscimento degli altri, il Papa riafferma tuttavia il valore di ogni persona umana e il suo bisogno di sviluppare interiorità e creatività. Ma le pareti dell'io isolato e autoreferenziale, le barriere dell'egoismo che inducono alla soddisfazione immediata, vanno infrante.
D'altra parte, sempre per il Papa, bisogna riferirsi anche alle appartenenze che fanno sentire a casa, in spazi capaci di favorire il riconoscimento degli altri entro una identità comune, per cui questi spazi vanno sottratti al continuo mutare, ché la terra appartiene, così come nel tempo si è configurata, anche alle generazioni che verranno. Non c'è solo un'unica casa comune ma anche altre proprie case, come la patria, la regione, la città, il quartiere, la casa di famiglia (altra formidabile complicazione e altro contrasto). Infatti, non esiste un modo unico di interpretare e di trasformare la realtà, un'unica ricetta da somministrare, per via delle diverse culture che i popoli hanno sviluppato e che hanno determinato altrettante fioriture umane, ciascuna con il proprio inconfondibile miscuglio di bene e di male.
Neppure alcuna nozione di qualità della vita può essere imposta, secondo Francesco. Infatti, oltre al patrimonio naturale, esiste il patrimonio storico, artistico e culturale, minacciato quanto gli elementi naturali, gli animali e i vegetali. La scomparsa di una cultura equivale alla scomparsa di una specie. Ne deriva che anche le identità delle culture, colpite dall'omogeneizzazione dovuta all'economia globale, vanno salvaguardate come tesoro multiplo dell'umanità e con esse sia i monumenti che le promozioni alla loro conoscenza e godimento (la missione del FAI si identifica con il paragrafo 143 dell'Enciclica Laudato si').
L'isolamento della coscienza, l'egoismo che porta a conseguire il solo beneficio personale e l'avidità insaziabile e angosciosa perché vuole riempire il vuoto interiore consumando e accumulando denaro e merci, sono propensioni indotte da un progresso preteso infinito, da un uso senza scrupoli della natura e da un voler estendere il dominio oltre ogni limite, entusiasmo malato che porta a eguagliarsi a Dio onnipotente. Questo un mito della Modernità, il cui opposto sta nella cura della natura e dei poveri. Tanto più ci si realizza quanto più si esce da sé per vivere con gli altri (indicazione che non sarebbe piaciuta ai Quietisti concentrati sull'interiorità). Liberal-democrazia, sviluppo degli individui, diritti individuali e libertà personali sono fuori campo nella visione papale. E la cultura moderna europea e nordamericana sembra così avere solo peccati da farsi perdonare.
Le virtù che Papa Francesco predilige sono sobrietà e umiltà, che implicano ridurre i bisogni insoddisfatti, saper godere delle cose piccole, di qualsiasi genere di persona e di ogni attimo della vita e anche il non attaccarsi a quello che abbiamo, il non cercare quello che non abbiamo e il non rattristarci per quello che non abbiamo (mentre la democrazia ha accresciuto l'invidia secondo Tocqueville, ma dovremmo per questo sopprimerla?). Insomma, si può aver bisogno di poco per vivere intensamente. Per di più anche la proprietà è in discussione (tanto non aveva osato neppure la Rivoluzione francese). Nella Bibbia, la terra è di Dio e gli uomini sono suoi ospiti, per cui la proprietà privata appare subordinata alla destinazione universale dei beni. È ammesso il diritto alla proprietà (ogni contadino ha diritto a un appezzamento di terra), ma grava sempre su di essa una ipoteca sociale.
Secondo il Papa, è nobile aver cura del creato anche con piccole azioni quotidiane, se inserite in uno stile di vita nuovo. Quindi la grande conversione si nutre anche di piccole realizzazioni. A queste cure particolari si sono dedicate una varietà di organizzazioni intermedie, di associazioni, che si preoccupano di un luogo pubblico o reso tale da proteggere e risanare, generando attorno a esso un tessuto sociale capace di contrastare l'indifferenza consumistica e di recare altresì un sussidio rilevante alle istituzioni pubbliche (paragrafo 232 della Laudato si'). È questo anche un modo per conservare le identità comuni e le storie da trasmettere al futuro e per controllare a questo riguardo il potere politico (a una tale concretezza negli interventi si è ispirato nell'ultimo quarantennio il FAI).
L'ambiente è uno dei beni comuni che i meccanismi del mercato e della rendita non sono in grado di difendere e promuovere. La politica, l'economia e la tecnologia devono essere posti al servizio della vita, in un modello di sviluppo basato su un rallentare capace di incanalare energie verso una più ampia concezione della qualità della vita e di sfuggire al termine breve del consumismo: modo di vivere che si è rivelato distruttivo.
L'Enciclica parte da una seria base di dati per sfidare l'indifferenza verso la rovina della terra e degli esseri umani, per resistere al paradigma economico e finanziario dominante e per convincere a un nuovo inizio, in una forma di generale iniziazione. Non è contro la scienza, la tecnica, l'impresa e l'economia produttiva di mercato e forse neppure la civiltà capitalistica nei suoi migliori effetti; e infatti non parteggia per la decrescita ma auspica un riequilibrio. Essa muove verso un mutamento di paradigma nel quale politica ed economia non siano sottomesse alla tecnologia e alla finanza, alla rendita speculativa e al profitto, che sono gli eccessi del post-industrialismo: «La tecnologia…, legata alla finanza, pretende di essere l'unica soluzione dei problemi, ma di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose…»
I movimenti che nel mondo si mobilitano per analoghi fini vengono dall'Enciclica grandemente legittimati, rafforzati e confortati (e fra questi il FAI). È una rivoluzione culturale che s'inquadra in una prospettiva religiosa rivolta a questo mondo, quindi nel segno della speranza, in uno slancio di amore per il creato, per gli uomini e per le loro civiltà che cerca non il conflitto ma una generale conciliazione. Siamo nel campo dello spirito in cui giocano pensiero, dialogo, educazione, politica e costumi di vita (come ben visto da Marco Vitale).
Un padre non può che incoraggiare, dare speranza, ma ai figli è pur concesso anche lo sguardo scettico alla maniera di Montaigne o di Berlin. Papa Francesco conduce tutti sul piano del dover essere, che nel suo globale coinvolgimento può apparire irrealizzabile, perfino utopico. Ma è mai possibile agire con efficacia sul reale con il solo scetticismo, senza alimentarsi a fini sperati? Nell'Enciclica il monismo, cioè l'armonia universalistica dei fini primi, sempre presupposta, cerca arditamente di comporsi con la diversità delle culture, delle nazioni e dei singoli esperimenti di vita, quindi con il pluralismo. Infatti Papa Francesco ammette non vi siano ricette da imporre, per cui il sentimento comunitario, fortissimo in lui, mira anche al concerto con lo sviluppo del particolare e dell'individuale; ma il rischio che il tutto finisca per prevalere sulla parte, quindi sulla persona, non appare del tutto scongiurato.
La Libertà positiva o distributiva, che incoraggia al perfezionismo democratico, dovrebbe essere bilanciata dalla Libertà negativa o difensiva, cioè quella che protegge l'individuo, scoperta grande della Modernità a cui più non sapremmo rinunciare. Libertà che però va temperata, avendo rotto troppo con il senso del vivere in comune, per cui l'individuo stesso, liberato da antiche oppressioni patriarcali e comunitarie, patisce oramai da tempo i rigori della solitudine… Mentre l'uomo immerso ancora in condizioni comunitarie, sopravvissute soprattutto in Asia, comincia ad aspirare a quelle libertà individuali che dittature, regimi autoritari e monarchie assolute mai hanno consentito. Eccoci in pieno nella contraddittorietà profonda della condizione umana, che le plurimillenarie esperienze della storia universale inducono a ritenere insanabile.
Non possiamo dimenticare che per millenni il potere politico è stato in mano a chi lo deteneva, il quale imprigionava a piacimento, per cui la politica era solo la forza di chi la possedeva. Solo da pochi secoli conosciamo una forma di Stato che non ha semplicemente la forza del più forte. Il teorico inizio è segnato da De la liberté des Anciens comparée à celle des Modernes di Benjamin Constant (1819) e dall'invenzione della liberal-democrazia, che alla rappresentanza politica e al sussidio della partecipazione civica ha affiancato la salvaguardia dell'individuo in cui sta la moderna Libertà difensiva della persona, basata sull'habeas corpus, cioè su “hai diritto al tuo corpo” e quanto ne consegue sul piano della coscienza (maestro in ciò Giovanni Sartori). Nella bellissima preghiera finale Sulla nostra terra, Papa Francesco invoca giustizia, amore, pace e bellezza; speriamo che fra queste stelle brillerà un giorno anche per la Chiesa la polare libertà.
Attuare un progetto universale armonico armonizzato a sua volta con il pluralismo è impresa tra le più vertiginose, per la varietà incommensurabile dei modi di vita e perché i fini primi, lungi da armonizzarsi tra loro, sovente confliggono: il comunitarismo massimo uccide l'individualismo e viceversa, così come la giustizia assoluta può uccidere la libertà e il massimo sviluppo uccide terra e uomini.
Tra valori contraddittori eppure ugualmente primari sono possibili compromessi locali e temporanei più che stabili e universali armonie, capaci di evitare i temibili eccessi. Anche le più sublimi virtù radicalizzate oltre ogni limite portano a vizi. Anche le forze irrazionali e quelle razionali all'interno delle singole persone sono costitutivamente antinomiche, tanto che al cuor non si comanda. Sembra esistere nel creato della vita una antinomia costitutiva fra principi e forze, sia nella società che negli individui, sorgente tanto della ricchezza, bontà, verità e bellezza umana quanto anche fonte della sua ineliminabile problematicità fatta di miseria, cattiveria, menzogna e orrore (ne ho parlato nel mio ultimo libro, Paesaggio di idee).
Uno dei maggiori desideri dell'umanità, fino da Platone, è stato quello di immaginare un disegno unitario e armonico basato su valori oggettivi, universali e atemporali, ritenuti tra loro coerenti e concretamente attuabili: età dell'oro, regno di Dio in terra e succedanei laicizzati di età moderna. In un tale disegno il bene mai poteva scontrarsi con un altro bene, così che componendo fra loro tutti i beni la perfezione diventava in linea di principio raggiungibile, fatta di elementi che reciprocamente s'incentivano. Ogni attuazione sistematica e pratica di un tale paradiso in terra, troppo spesso si è risolta in carneficine.
Da un punto di vista scettico, l'Enciclica di Papa Francesco rappresenta l'ultimo di questi grandiosi disegni. Il Papa ha constatato che l'essere umano e le cose hanno cessato di darsi amorevolmente la mano, ma in vista di Dio persone e cose possono essere riconciliate, come in una origine felice (mai storicamente).
Dal punto di vista della buona volontà, l'Enciclica muove un'energia spirituale che vuole migliorare e salvare il mondo. In conclusione viene da immaginare un dialogo fra uno scettico, che si basa sull'esperienza della storia, e il volonteroso, che si basa su millenni di futuro. Emergerebbe allora il problema apicale che sta nella contraddizione fondamentale fra l'uomo uno nei valori più ampiamente condivisi e l'uomo multiplo nei valori diversi nello spazio e nel tempo. Forse Francesco Vescovo di Roma proprio simili dialoghi con la sua lettera circolare ha voluto suscitare e un dialogo straordinario e a noi ignoto già si è svolto dentro di lui, come rivelano i significativi bilanciamenti tra i diversi valori, mentre stendeva un'enciclica di altissimo valore religioso e storico.
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