14 febbraio 2019
Carissimi amici e ospiti del FAI,
pur in tempi economicamente sfavorevoli e comunque problematici la nostra Fondazione sempre è riuscita a raggiungere - fino ad ora - un piccolo attivo e a crescere: ricordo i quasi 200.000 iscritti e ai quasi 900.000 visitatori.
Aprendo questo 23° Convegno nazionale desidero dire a voi quali sono state le 3 componenti del nostro successo, che mi piace far conoscere anche al Paese, perché altri, se vogliono, se ne possano giovare.
PRIMA COMPONENTE. Avere il senso dei processi reali di ampia durata, che presuppone conoscere la storia, evitando di appiattirsi sulla cronaca del momento.
SECONDA COMPONENTE. Avere il senso della complessità – dei contesti locali, regionali, nazionali e internazionali –, che implica evitare semplificazioni e unilateralità che presto svelano la loro pochezza.
TERZA COMPONENTE. Perseguire il lecito interesse della parte della società a cui si appartiene, giovando al tempo stesso al bene comune della Nazione.
Infatti il FAI:
studia la radice e lo spirito dei luoghi che possiede e gestisce, per conservarli e raccontarli a tutti;
considera i beni come fulcri dei loro sistemi paesaggistici;
armonizza il fine proprio con il fine ultimo delle prosperità dell’Italia, legando professionalità, managerialità e servizio alla popolazione intera.
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Come tutte le cose umane, il FAI non è perfetto, ma cerca continuamente di migliorare.
A partire da questo Convegno, la Fondazione fa un passo in avanti, grande come quello del gigante Pantagruel…
Così, per la prima volta nei nostri 44 anni di storia, affrontiamo un grandissimo tema nazionale, presente in tutte le regioni e pari al 60% del territorio italiano.
Prima di oggi partivamo dai beni, a partire dal 2013 per arrivare al loro contesto locale, ma da ora in poi cominciamo a fare anche l’inverso: partire da un ampio insieme, che va poi innervato grazie ai beni.
È questa una prospettiva che sintetizza i vari aspetti della nostra missione e che si radica, una volta ancora, nelle proprietà che già abbiamo e che avremo.
È un modo di agire che si affianca a quelli tradizionali dei beni sparsi da noi gestiti, delle 4 manifestazioni annuali e dei biennali «Luoghi del Cuore».
Intendiamo così preparare la «nuova dimensione», argomento dell’ultimo piano operativo (2021-2023), il quale concluderà il piano strategico varato nel 2014, il primo che il FAI si è dato e che è il motore nostro progresso.
Questa «nuova dimensione» ha un carattere, oltreché nazionale, educativo e sociale: infatti si preoccupa dell’analfabetismo riguardante testi appena complessi che ha colpito il 70 per cento degli Italiani. E si preoccupa della qualità della vita di 13 milioni e mezzo di Italiani finiti in condizione di una marginalità, speciale perché poco nota.
Qui finisce la suspense: oggi e qui variamo il «Progetto Alpe. L’Italia sopra i 1.000 metri».
E’ un tema che mi è particolarmente caro, come mostra questa fotografia del professore di farmacologia Piero Gerosa, fratello del più famoso Giuseppe, mio bisnonno materno, che ha salvato i pratoni di Cogne.
Il progetto durerà almeno un decennio e si ispira al «Neptune Coastal Campaign» del National Trust, che in 50 anni ha salvato il 10% delle coste della Gran Bretagna, per una lunghezza di circa 1.200 chilometri.
Il «Progetto Alpe» coinvolgerà - oltre al FAI centrale - i 322 nostri presidi nelle 20 regioni, composti da 19 presidenze regionali, 124 delegazioni, 88 gruppi e 91 gruppi giovani. Essi si occuperanno della porzione di alpeggio presente nella loro regione.
Così gli italiani e gli stranieri impareranno a vedere, conoscere, frequentare, amare, riabitare e riabilitare questo Paese dimenticato e derelitto, ma che proprio per questo meno è stato investito dalla globalizzazione che rende tutto omogeneo e dalla speculazione edilizia che tutto sconcia.
Si tratta di una marginalità particolare, più difficilmente riconoscibile sotto la notevole bellezza residua dei luoghi, ma proprio perciò particolarmente crudele. Straordinaria è l’opportunità di custodire e dare valore a identità naturali e culturali ancora autentiche e variegate, di cui l’Alpe italiana è ricchissima e di cui le periferie urbane – la marginalità più nota - sono purtroppo carenti.
Bene abbiamo in mente la disparità tra nord e sud che vanno accentuandosi, e invece male in mente le disparità tra il sotto e il sopra i mille metri circa.
È un’Italia lontana dalle coste e dalle pianure, dove più si è concentrata l’urbanizzazione, considerata la «polpa» del Paese: una polpa da rodere... È l’Italia interna, che costituisce la spina dorsale della Patria, delineando il misterioso disegno primordiale di una grande «S». Lungo questa dorsale della penisola e delle isole cala la popolazione, i villaggi sono abbandonati, diminuisce l’utilizzo del suolo e calano i servizi principali che rendono possibile oggi la vita; per non dire dei disastri idrogeologici e sismici, affidati solo all’emergenza e mai alla prevenzione e ai miglioramenti strutturali che riducono il rischio di crollo totale e di morti.
Così un grande potenziale di sviluppo viene dissipato, una opportunità da non perdere, come bene ha visto di recente De Rita (sul “Corriere della sera” del 10 febbraio), il quale ha descritto questa marginalità come la «quinta inerte» del Paese. - Intanto i nostri pastori sardi versano in terra il loro latte immacolato e sciupato, perché non riescono più a sopravvivere mungendo le pecore: spettacolo tremendo!
Insomma, il FAI si pone come sussidio alla «Strategia Nazionale per le Aree Interne», varata meritoriamente nel 2013 dal Ministro Fabrizio Barca, e ora nella mani dell’attuale Governo (come avete visto nei video).
Stringeremo anche accordi con l’«Unione Nazionale dei Comuni, Comunità ed Enti Montani» e con il «Club Alpino Italiano»; la collaborazione a un’altra caratteristica del nostro agire che si ispira alla fratellanza.
Concludo con la riflessione che segue. Tutti dobbiamo fare il massimo per conservare – se ne siamo capaci per migliorare – la grande civiltà europea che in Italia ha avuto la sua scaturigine, tra il 1.000 a.C. e il 1.600 d.C., e di qui la unicità universalmente riconosciuta della nostra terra.
Basta con l’Italia ultima in Europa! Operiamo cooperando per poterla rivedere tra i protagonisti, come è già stata. Le civiltà si devono meritare; vanno continuamente rigenerate; altrimenti tramontano in interminabili secoli oscuri, come è accaduto all’Impero Romano di Occidente. Perché le civiltà possono anche morire! D’altra parte non intravvediamo all'orizzonte un altro assetto di civiltà e di cultura che meglio si adatti ai nostri bisogni materiali e morali.
Buttiamo dunque l’acqua sporca, ma per carità, salviamo il nostro bambino!
Andrea Carandini
nei Beni FAI tutto l'anno
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