Al via la COP15, la quindicesima conferenza sulla biodiversità

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Al via la COP15, la quindicesima conferenza sulla biodiversità
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12 dicembre 2022

Il 7 Dicembre si è aperta a Montréal, in Canada, la quindicesima Conferenza delle Parti sulla diversità biologica, la cosiddetta COP15, ultima speranza per salvare la natura.

Nel corso di due settimane, i 196 Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione sulla diversità biologica si riuniscono per discutere e trovare degli accordi per tutelare la natura e dare un futuro desiderabile al pianeta. Scopo principale sarà redigere il Post 2020 Global Biodiversity Framework (GBF), un piano strategico che ha lo scopo di interrompere la perdita di biodiversità entro il 2030 e proporre un nuovo paradigma per la vita sul pianeta, una vita che sia in piena armonia con la natura. Presentato come "l'ultima migliore speranza" per affrontare l’inesorabile declino delle specie viventi, questo piano ha l’ambizione di diventare il nuovo “Accordo di Parigi” della biodiversità. Ovvero un grande accordo globale capace di generare azioni politiche incisive e mobilitare risorse finanziarie per proteggere la natura. Già dalla partenza, però, il negoziato potrebbe non aver preso la direzione desiderata.

Il Global Biodiversity Framework (GBF)

Il 7 Dicembre a Montréal sarebbe dovuto arrivare tra le mani dei negoziatori il testo quasi definitivo del Global Biodiversity Framework. In stato di elaborazione dal 2018 e con alle spalle svariati meeting dei gruppi di lavoro, di cui l’ultimo tenutosi proprio a ridosso dell’inizio della COP15, dal 3 al 5 dicembre, il quadro è arrivato come una bozza, piena di elementi ancora da decidere. Nella sua struttura, il Global Biodiversity Framework si compone di 23 obiettivi, chiamati target. Tali obiettivi spaziano dalla riduzione dell’inquinamento e dei pesticidi in uso agricolo, all’uso sostenibile delle risorse derivanti dalla biodiversità; ma anche dal garantire il diritto delle popolazioni indigene all’utilizzo delle loro terre, alla riduzione degli incentivi dannosi per l’ambiente e la natura. Ognuno dei 23 target si compone di più indicatori che serviranno a indirizzare le politiche dei Paesi che hanno sottoscritto l’accordo. La prima settimana di negoziati è però iniziata con più di 900 indicatori “tra parentesi”. I delegati nel corso dei primi giorni di lavori sono stati sollecitati a eliminare le parentesi e a trovare un accordo comune, volto a frenare la perdita di biodiversità entro il 2030. Ma la situazione sembra essersi un po’ impantanata: le divisioni tra i Paesi su questioni critiche rimangono radicate e la sensazione è quella di un'allarmante mancanza di progressi.

COP15 | A che punto siamo per la tutela della biodiversità | Il Commento di Emanuele Bompan

Obiettivo 30x30

Dei 23 obiettivi proposti, uno in particolare ha suscitato grande interesse. Conosciuto come "30 x 30", questo target prevede la protezione del 30% delle aree marine e terrestri del pianeta entro il 2030. Proposto dall’High Ambition Coalition for Nature and People (HAC), un gruppo di oltre 100 Paesi tra cui Stati uniti, Europa e Canada, l’obiettivo vorrebbe garantire che gli ecosistemi continuino a fornire quei servizi ecosistemici imprescindibili per la vita sul pianeta. Una proposta, questa, che alla vista di scienziati e società civile potrebbe non essere sufficiente. Uno studio pubblicato su “Science” ha infatti rivelato che, per mantenere ecosistemi resilienti, l’obiettivo di conservazione dovrebbe essere del 50%. Determinati a portare avanti quest’ultima visione, i rappresentanti della società civile e delle organizzazioni indigene si sono organizzati e hanno diffuso una petizione sostenuta da più di 3.2 milioni di cittadini, affinché i leader presenti a Montréal scelgano di tutelare il 50% delle terre e delle acque del pianeta. La richiesta è di trovare un accordo che sia veramente basato sulla scienza e non sugli interessi economici. La conservazione del 30% delle terre e delle acque darebbe infatti adito ad alcune grandi nazioni, tra cui Brasile ed Argentina, di continuare ad abbattere aree significative di foresta per lasciare spazio a miniere, agricoltura e allevamento.

Se il 30% poteva sembrare un obiettivo ambizioso, nella realtà si sta rivelando non troppo sicuro per la prosperità della Terra.

Finanza per la biodiversità

La conservazione di alcune aree del pianeta non è però sufficiente per invertire il trend di perdita di specie e di ecosistemi. Il raggiungimento di un reale cambio di paradigma richiederà profonde riforme nei flussi finanziari e trasformazioni dei settori economici. L’azione necessaria sarà incorporare la natura nei processi decisionali del mondo degli affari e della finanza, sia tramite la creazione di fondi ad hoc, sia attraverso l’implementazione delle cosiddette Nature Based Solutions (come ad esempio la riforestazione dei boschi, la costruzione dell’humus nei terreni agricoli o la creazione di praterie di Posidonia). L’ultima edizione dello State of Finance for Nature, rivela però che la natura è ancora sottofinanziata. Gli obiettivi in materia di clima, biodiversità e degrado del suolo saranno irraggiungibili a meno che gli investimenti in soluzioni basate sulla natura non aumentino rapidamente a 384 miliardi di dollari all'anno entro il 2025, una somma che è doppia rispetto agli attuali 154 miliardi. Il nesso di cui bisogna essere consapevoli risiede nel fatto che la nostra prosperità biologica ed economica dipende dalla natura. Una ricerca del World Economic Forum mostra che 44 trilioni di dollari del PIL mondiale, circa la metà, dipendono in misura elevata o moderata dalla natura.

Un esempio: la perdita mondiale di tutti gli impollinatori (comprese api, farfalle, falene e altri insetti) porterebbe a un calo della produzione agricola annua di circa 217 miliardi di dollari.

Sulla strada verso la sesta estinzione

In occasione dell’apertura dei negoziati, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha pronunciato parole dure e insieme di preoccupazione sull’attuale stato del pianeta:

“Stiamo conducendo una guerra contro la natura. Gli ecosistemi sono diventati giocattoli di profitto. Le attività umane stanno devastando foreste, giungle, terreni agricoli, oceani, fiumi, mari e laghi un tempo fiorenti. L'umanità è diventata un'arma di estinzione di massa, con un milione di specie che rischiano di scomparire per sempre. Tutta questa distruzione ha un prezzo enorme. Posti di lavoro persi, devastazione economica, fame in aumento, costi più elevati per cibo, acqua ed energia, diffusione di malattie e un pianeta degradato. La guerra dell'umanità contro la natura è in definitiva una guerra contro noi stessi.”

La comunità scientifica internazionale guidata dall’IPBES – l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services - è infatti concorde nell'affermare che oltre un milione delle specie attualmente viventi scompariranno nei prossimi decenni. Quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria estinzione di massa, la sesta, che sta avvenendo a una velocità spaventosa. Secondo il rapporto Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services il ritmo di perdita delle specie è da decine a centinaia di volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni e la causa è umana. Eppure dovremmo iniziare a renderci conto che la biodiversità è la più grande ricchezza che abbiamo a disposizione sulla Terra, la risorsa senza la quale nulla sarebbe quello che è. L’insieme e l’interazione di tutte le specie, infatti, ci permette di avere a disposizione quelli che vengono chiamati servizi ecosistemici: acqua potabile, aria pulita, enormi quantità di cibo, ma anche legname, combustibili fossili, fibre naturali e medicinali. Animali, piante, funghi, batteri, ma anche i geni che essi contengono e i complessi ecosistemi che costituiscono, vanno a comporre la gigantesca rete della vita. Una vita che ci è indispensabile in ogni suo tassello.

La biodiversità come struttura portante del pianeta

Per l’inizio dei negoziati, una gigantesca torre dalla forma di un Jenga è stata esposta al Palais des congrès di Montréal. L'installazione, realizzata con scatole di cartone riciclato, vuole ricordare l’importanza della complessa rete della vita, la biodiversità, e il rischio che tutti stiamo affrontando di fronte alla crisi ecologica. Ogni scatola/mattone rappresenta una specie o un ecosistema, che nella loro interezza formano una torre/pianeta salda e resistente. Come nel gioco di Jenga, a furia di rimuovere pezzi, ovvero distruggere ecosistemi e sterminare specie, la torre/pianeta diventa sempre più precaria e prossima al collasso. Il tempo dell’azione deve essere quindi immediato per evitare che la torre crolli, ma tra i banchi dei delegati è già iniziata a emergere la paura che non ci sarà abbastanza tempo per arrivare a un accordo veramente significativo.

Eppure quello che serve oggi è un forte impegno politico e finanziario e un’assunzione di responsabilità da parte di tutta la comunità internazionale. Ritardi e rimandi non saranno più ammessi se si vuole davvero preservare la vita sulla terra. Partendo da questo presupposto, si può prevedere che nei prossimi giorni, a Montréal, verranno versate non poche gocce di sudore.

Valeria Pagani

#FAIBiodiversità

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