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PALAZZO MAUROGORDATO

PALAZZO MAUROGORDATO

LIVORNO

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PALAZZO MAUROGORDATO

Il palazzo Maurogordato è uno degli edifici più imponenti del centro storico di Livorno. La sua mole, che domina gli scali d’Azeglio, è oggi la più eloquente testimonianza del prestigio e della ricchezza della comunità mercantile greca nella “città delle nazioni” ottocentesca. Fu la famiglia Maurogordato, originaria dell’isola di Chio, ad affidarne la progettazione all’architetto livornese Giuseppe Cappellini. I lavori, iniziati nel 1856, si conclusero nel 1864. All’interno come all’esterno dell’edificio si può cogliere la volontà di celebrare l’affermazione sociale dei Maurogordato, senza per questo rinnegare le radici elleniche della famiglia. Alla solennità dell’esterno, ispirato ai modelli rinascimentali fiorentini, fa riscontro il fasto neoclassico degli interni, con un vasto atrio monumentale che attraverso una scenografica fuga di scale conduce al piano nobile. Qui numerosi saloni sono riccamente decorati e affrescati con soggetti mitologici dal pittore fiorentino Olimpio Bandinelli. Il più grande è il salone da ballo, il cui soffitto ha al centro un grande affresco raffigurante il carro dell’Aurora, circondato da magnifici stucchi illusionistici, in parte dorati. Negli altri ambienti spicca fra tutte l’unica scena di tema “moderno”: la morte dell’eroe della guerra d’indipendenza greca Markos Bòtsaris, episodio più volte ripreso dall’arte e dalla letteratura filellenica europea e che certamente parlava al cuore dei committenti, giunti a Livorno come profughi proprio da quella guerra. Fu forse perché memori di quelle vicende che i padroni di casa, come ricorda una lapide, ospitarono lo scrittore Francesco Domenico Guerrazzi nei suoi ultimi anni di vita. Il palazzo, ceduto dalla famiglia Maurogordato a privati nel 1921, è stato dal 1931 sede di società elettriche, e dal 1965 al 2010 della direzione provinciale dell’Enel. Negli anni successivi, ha conosciuto diversi proprietari ed anche una fase di occupazione abusiva. Il risultato è che oggi mostra evidenti segni di abbandono già nella facciata, la cui balconata in pietra al piano nobile è da anni pericolante e puntellata. Altre impalcature sono allestite per proteggere il marciapiede da eventuali distacchi di materiale dai cornicioni. È lecito supporre anche uno stato di degrado degli interni, che andrebbe accertato tramite un sopralluogo della Soprintendenza di Pisa e Livorno. Tale intervento potrebbe rappresentare il primo passo per consentire l’accesso e la visita del palazzo, che non vale solo come lascito della stagione più fortunata di Livorno e del suo porto, ma come tassello dell’immagine complessiva della città, posto com’è al centro degli scali d’Azeglio, la “parte nobile” del circuito dei Fossi, in voluta gara d’eleganza e ariosità con i Lungarni pisani e fiorentini. Come molti altri luoghi cittadini, la dimora dei Maurogordato attende ancora di essere sottratta all’invisibilità che l’ha avvolta. Senza contare altri motivi d’interesse, come la probabile presenza, nei sotterranei del palazzo, di spazi riferibili ai bastioni seicenteschi su cui sorsero gli Scali come oggi li conosciamo.

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Il palazzo Maurogordato è uno degli edifici più imponenti del centro storico di Livorno. La sua mole, che domina gli scali d’Azeglio, è oggi la più eloquente testimonianza del prestigio e della ricchezza della comunità mercantile greca nella “città delle nazioni” ottocentesca. Fu la famiglia Maurogordato, originaria dell’isola di Chio, ad affidarne la progettazione all’architetto livornese Giuseppe Cappellini. I lavori, iniziati nel 1856, si conclusero nel 1864. All’interno come all’esterno dell’edificio si può cogliere la volontà di celebrare l’affermazione sociale dei Maurogordato, senza per questo rinnegare le radici elleniche della famiglia. Alla solennità dell’esterno, ispirato ai modelli rinascimentali fiorentini, fa riscontro il fasto neoclassico degli interni, con un vasto atrio monumentale che attraverso una scenografica fuga di scale conduce al piano nobile. Qui numerosi saloni sono riccamente decorati e affrescati con soggetti mitologici dal pittore fiorentino Olimpio Bandinelli. Il più grande è il salone da ballo, il cui soffitto ha al centro un grande affresco raffigurante il carro dell’Aurora, circondato da magnifici stucchi illusionistici, in parte dorati. Negli altri ambienti spicca fra tutte l’unica scena di tema “moderno”: la morte dell’eroe della guerra d’indipendenza greca Markos Bòtsaris, episodio più volte ripreso dall’arte e dalla letteratura filellenica europea e che certamente parlava al cuore dei committenti, giunti a Livorno come profughi proprio da quella guerra. Fu forse perché memori di quelle vicende che i padroni di casa, come ricorda una lapide, ospitarono lo scrittore Francesco Domenico Guerrazzi nei suoi ultimi anni di vita. Il palazzo, ceduto dalla famiglia Maurogordato a privati nel 1921, è stato dal 1931 sede di società elettriche, e dal 1965 al 2010 della direzione provinciale dell’Enel. Negli anni successivi, ha conosciuto diversi proprietari ed anche una fase di occupazione abusiva. Il risultato è che oggi mostra evidenti segni di abbandono già nella facciata, la cui balconata in pietra al piano nobile è da anni pericolante e puntellata. Altre impalcature sono allestite per proteggere il marciapiede da eventuali distacchi di materiale dai cornicioni. È lecito supporre anche uno stato di degrado degli interni, che andrebbe accertato tramite un sopralluogo della Soprintendenza di Pisa e Livorno. Tale intervento potrebbe rappresentare il primo passo per consentire l’accesso e la visita del palazzo, che non vale solo come lascito della stagione più fortunata di Livorno e del suo porto, ma come tassello dell’immagine complessiva della città, posto com’è al centro degli scali d’Azeglio, la “parte nobile” del circuito dei Fossi, in voluta gara d’eleganza e ariosità con i Lungarni pisani e fiorentini. Come molti altri luoghi cittadini, la dimora dei Maurogordato attende ancora di essere sottratta all’invisibilità che l’ha avvolta. Senza contare altri motivi d’interesse, come la probabile presenza, nei sotterranei del palazzo, di spazi riferibili ai bastioni seicenteschi su cui sorsero gli Scali come oggi li conosciamo.

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