Ricordata da Plinio il Vecchio tra le città umbre (nat.hist., III, 113), Mevaniola rivela la sua storia principalmente attraverso i resti archeologici ed epigrafici. L'area del centro urbano di Mevaniola è stata parzialmente scavata negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, mentre si deve agli scavi del 1993 la scoperta di una piccola necropoli.
Il sito di Mevaniola fu identificato nel 1934, e i primi scavi della Soprintendenza, che risalgono al 1948-49, portarono alla luce alcuni tratti di muri e resti di pavimenti. La campagna di scavo del 1951 portò alla scoperta di un pozzo, una canaletta formata da lastroni, alcune basi marmoree, e le famosa chiave in ferro e bronzo con manico a forma di testa canina della prima metà del I sec.d.C. Questo singolare manufatto, interpretato come chiave civica, deve essere inteso non tanto come la chiave di accesso alla città, di cui non sono mai state rinvenute le mura, ma come oggetto fortemente simbolico, visto il suo sotterramento nell'area del foro, fulcro di ogni città romana.
La città faceva parte della tribù Stellatina e fu inserita da Augusto nella regio VI Umbria (invece che nella VIII Aemilia) forse in memoria degli antichi rapporti con le popolazioni umbre richiamati già nella sua denominazione: Mevaniola, cioè piccola Mevania, deriva proprio dall'antico nome dell'odierna città umbra di Bevagna.
Non conosciamo esattamente l'estensione del centro abitato, che doveva coprire un'area di circa 200 x 100 metri ed era attraversato da una strada ricalcata oggi da un viottolo campestre, né sembra che fosse circondato da mura. Attorno ad una vasta area aperta in cui è forse riconoscibile il foro (piazza) sorgevano gli edifici pubblici tra cui il teatro, uno dei più antichi della regione. Databile agli inizi del I sec. a.C., il teatro è ancora legato a modelli ellenistici, con un'orchestra circolare (e non semicircolare come nei teatri romani) e la cavea semicircolare in muratura, di cui si conservano i quattro ordini inferiori delle gradinate mentre quelle superiori dovevano essere in legno: davanti ad esso si estendeva un piazzale porticato.
Dall'altra parte della strada, e a valle del foro, è stato individuato un impianto termale, con un ambiente riscaldato con ipocausto, vasche non riscaldate con pavimento fittile in opus spicatum, e un grande ambiente non riscaldato (forse il frigidarium). L'edificio ha avuto almeno due fasi, la più antica delle quali risale alla metà del I secolo a.C., epoca a cui si data l'iscrizione inserita nel pavimento a mosaico che ricorda il restauro delle condutture idriche che rifornivano l'edificio di acqua, compiuto ad opera di Cesio, funzionario (quattorvir quinquennalis) della città.